Frey: "Serve tanto rispetto per questa maglia"

Sandro Piovani

Forse è il più «parmigiano» dei francesi che hanno giocato nel Parma. Sempre sorridente, bon vivant e soprattutto ancora molto legato alla nostra città. E quando entra nel Museo «Ernesto Ceresini» gli si illuminano gli occhi. Arrivò a Parma nell'estate 2001 per sostituire Buffon, se ne andò nell'estate 2005. Sorride, abbraccia tutti. E ricorda, ma non solo. Tra passato e presente, per lui il Parma ha un significato importante. «Prima della partita di Bologna (il secondo e decisivo spareggio ndr) dissi che volevo lasciare il Parma solo in serie A e così fu».

Come si sente a posare di fianco alla sua fotografia, nel Museo del Parma?

«Ne sono orgoglioso, perché vuol dire che ho fatto parte della storia di questo club importante, con un palmares unico. Ha fatto la storia del calcio italiano. Ed ora, dopo il fallimento, sta ritornando. E io sono un tifoso che vuole vedere presto il Parma in serie A».

E' un Museo importante.

«Sì, bisogna far capire a chi gioca ora quanto è pesante la maglia del Parma. Per chi l'ha già indossata, per i trofei vinti. Serve tanto rispetto per una maglia così. E' un Museo che fa bene alla gente: ricordare è giusto, dà consapevolezza, fa capire quanto è importante questa società».

Lei è stato uno dei grandi protagonisti degli spareggi con il Bologna.

«A livello calcistico l'unico trofeo che ho vinto è stata la Coppa Italia con il Parma. E quella è a casa, in bacheca. Poi c'è stata quella notte, a Bologna, che forse vale più di un trofeo. Due spareggi che erano arrivati dopo una stagione lunga, pesante e difficile. E dopo il crac della Parmalat si sapeva che alcuni giocatori dovevano andarsene, per aiutare il Parma a stare in serie A. E io ero tra quelli. Sapevo che gli spareggi erano le mie ultime due partite con il Parma. Ma non volevo andarmene lasciando il Parma in B. Ero il capitano, avevo un grande senso di appartenenza a questa maglia. E quegli spareggi se li ricordano tutti. Noi eravamo rimasti, senza prendere lo stipendio. Significa che il legame era vero. I giocatori che c'erano allora hanno amato e rispettato questa maglia».

E' ancora in contatto con alcuni di loro?

«Certo, il “Gila” (Alberto Gilardino) innanzitutto: è in giro per l'Italia e ci sentiamo. Poi Mutu che ora è il presidente onorario della Dinamo Bucarest: anche con lui ci sentiamo spesso. Un ragazzo d'oro. Con Taffarel ci siamo incontrati spesso in Turchia. In ogni caso li rivedo volentieri tutti. Non devo dimenticare Fabio (Cannavaro)».

Anche a Parma i tifosi l'accolgono sempre volentieri.

«Il bello della gente di Parma è che ti lascia in pace, nonostante abbia vissuto grandi stagioni con il calcio, con grandi campioni. Qui sono passati dei veri big del calcio, campioni del Mondo. Eppure andavamo in bici in centro, magari a prendere l'aperitivo. Eppure nessuno ci ha mai infastidito. Magari ti dicevano “tutto bene?”. Ma ti lasciano lavorare poi in tranquillità, senza mai disturbarti: credo che sia una realtà unica del calcio italiano».

Ed ora che cosa fa Frey?

«Qualche gara per esibizione, partecipo a qualche evento. Ma non voglio fare l'allenatore, non mi interessa. Poi curo i miei interessi, i miei investimenti immobiliari. Gestisco quello che mi sono creato con la mia carriera. Ma mi sono distaccato un po' dal calcio».