«Il gioco, la mia droga»

Chiara Pozzati

La chiamano bestia nera. Sta col fiato addosso, peggio dei creditori. Tormenta le loro notti e divora i loro giorni. E’ sempre in agguato. Li costringe in un bar bettola, con gli occhi incollati alla slot rutilante, «mentre mia moglie partoriva la nostra seconda figlia». E ancora: «mi ha spinto a entrare in tabaccheria, lasciando la carrozzina fuori al freddo, per nuove puntate». La bestia nera è la dipendenza da gioco d’azzardo che artiglia dentro. Un fenomeno in crescita costante anche tra i parmigiani, che col baratro fanno i conti tutti i giorni. Ma oggi in città c’è una nuova speranza. Già, perché G.a. (Giocatori anonimi) finalmente approda anche qui, con una sede, 12 passi e la volontà di aiutare chi è malato d’azzardo. Un male insidioso e difficilissimo da intercettare, anche per gli esperti, ma che ha già portato 24 persone negli ultimi due anni a rivolgersi al Sert. Un dato che dice poco, in sé e per sé, ma come spesso accade è meglio andare oltre i numeri. Perché solo gli sguardi e le testimonianze riescono a trasformare cifre bilanci in vita vera. Devastata da una patologia a tutti gli effetti, «da cui non si può guarire – ti dicono tranchant i diretti interessati – ma che si può imparare a domare». Questa sera, alle 21, è fissato il primo degli incontri. Sarà la sala parrocchiale di fianco a Sant’Andrea Apostolo in Antognano, in via Berzioli, ad accogliere tutti coloro che hanno voglia di mettersi in gioco per uscire dalla malattia. Li abbiamo incontrati in anteprima, non solo i fondatori di G.a. Parma, ma anche le delegazioni di tutta la regione venute per dare il loro sostegno «a questo nuovo gruppo che mancava sulla via Emilia». E qui incontriamo i fondatori del neonato sodalizio: tutti ex giocatori compulsivi, tutti made in Parma. Maurizio, Giuseppe, Claudio e Simone. Che fanno uno strappo alla regola e invitano un cronista a partecipare a un incontro, «per toccare con mano cosa significhi essere soggiogati da questo male».

E proprio Giuseppe racconta il suo calvario: «Sono un ex alcolista e giocatore compulsivo. A causa del gioco ho perso il controllo sulla mia vita. La mia famiglia, la stima di mio figlio, il lavoro, la patente e la macchina che avevo preso dopo tanti sforzi. Tutto distrutto. Inutile negare: è un inferno, sei assediato dai fantasmi e dai creditori, ti senti solo al mondo». Ma la seconda possibilità è arrivata grazie al Sert: «Ho iniziato a frequentare gli psicologi della struttura e gli alcolisti anonimi. Piano piano ho riacquistato la fiducia di mia moglie e la stima di mio figlio. Inutile negare, la bestia è sempre alle spalle, ma si può combattere e tenerla a bada insieme». Un giro di voci, onesto, crudo e umile che colpisce come un gancio allo stomaco. «Sono Andrea e dopo più di 13 anni frequento ancora queste stanze – spiega un marcantonio sulla cinquantina, arrivato da lontano, ben vestito, dal sorriso stanco, ma fermo – ho giocato per 30 anni, nell’89 sono arrivato a frequentare il Casinò di Venezia 154 volte, una volta ogni tre giorni. E’ stato l’anno in cui mi sono sposato, ma mia moglie non aveva idea di che mostro avesse in casa. Le mie notti attaccato alla macchinetta erano il mio giorno, i miei giorni l’affannosa ricerca della prossima puntata. La pallina d’avorio che roteava è stato il mio grande amore. Sono riuscito a disintossicarmi per dieci anni, ma è bastata una monetina nella slot per ricadere nell’inferno». Inferno da cui è tornato: «da 13 anni sono pulito e ringrazio G.a. perché solo grazie a lei ho respirato la sofferenza degli altri, capendo di non essere da solo a combattere col mostro. E se 30 anni di vita buttata possono servire anche solo a un altro ex giocatore, per sentirsi capito e aiutato a uscirne allora ne è valsa la pena».

E ancora Pablo: «Ho giocato per quarant’anni rovinando tutti. Passavo le notti al bar, mentendo a me stesso e giurando che sarebbe stata l’ultima. Ma dopo mezz’ora cercavo altri dadi e altri casinò. Non avrei mai ammesso di non essere invincibile, di essere ammalato, ma grazie a un amico ho scoperto G.a.». Maurizio, che tradisce un fiero accento modenese, è invece un ex camionista: «arrivato a grattare per rovinare il bancomat di mia moglie e proibirle di controllare il conto. Quando è nata la mia seconda figlia ero di fronte a una macchinetta, e d’inverno ho lasciato la carrozzina fuori da una tabaccheria mentre io ero a giocare. Ero arrivato a un bivio: distruzione totale o speranza. G.a. mi ha insegnato quest’ultima». Per rivolgersi a G.a. Parma non serve un nome o altro, basta inviare una mail a parma@giocatorianonimi.org. Presto verrà installata una linea fissa, nel frattempo per chi volesse contattare direttamente l’associazione esiste il numero regionale 366.9767970.