Parmacotto, l'ex patron Rosi a processo per truffa aggravata

Georgia Azzali

Dalle casse dello Stato a quelle di Parmacotto: una pioggia di 11 milioni. Era il 2011, e quei soldi furono elargiti da Simest, la società pubblica del Gruppo Cassa depositi e prestiti. Peccato, però, che quel tipo di finanziamenti potesse essere concesso solo ad aziende in crescita, sane e redditizie. Ma in quel momento la situazione dell'azienda alimentare, secondo la procura, era di tutt'altro segno. Eppure, quel fiume di denaro fu chiesto e ottenuto, ma per l'allora numero uno di Parmacotto, Marco Rosi, e l'ex responsabile amministrativo della società, Marco Delsante, è scattata l'accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato. E nei giorni scorsi tutti e due sono stati rinviati a giudizio dal gup di Modena, Paola Losavio. Lo scorso anno, infatti, il fascicolo era stato trasferito da Parma al tribunale della città della Ghirlandina per competenza territoriale, dal momento che il finanziamento finì all'epoca su un conto dell'impresa aperto in una filiale modenese di Unicredit. Il processo è fissato per il 5 luglio, anche se si tratterà solo di un'udienza di smistamento, durante la quale verrà stabilita la data effettiva dell'inizio del processo.

L'inchiesta era stata portata avanti dalla Finanza di Parma e coordinata dal pm Paola Dal Monte. Secondo gli inquirenti, grazie a una serie di falsi contabili, era stata messa nero su bianco una situazione economico-patrimoniale decisamente più rosea rispetto a quella reale, proprio per poter ottenere quel finanziamento. Nel luglio del 2016 scattò anche il sequestro preventivo di 11 milioni, ma nell'ottobre dello stesso anno la somma è ritornata nelle casse della società, perché il tribunale di Modena ha accolto l'istanza di revoca del provvedimento per prescrizione del reato. Ma se la società è uscita di scena dal procedimento giudiziario e sta guardando al futuro, l'ex patron dell'azienda e l'ex manager dovranno affrontare il processo. Un processo, però, che è destinato a durare poco perché anche le loro posizioni si prescriveranno nei prossimi mesi.

Rosi preferisce non commentare. Da parte sua, l'avvocato Franco Magnani, difensore di Delsante, aveva chiesto in udienza che si valutasse la possibilità di una perizia tecnica d'ufficio. Agli atti, infatti, c'è la consulenza che fu disposta dalla procura di Parma e firmata da Stefano Montanari, Massimo Giordano ed Enrico Bardini. I consulenti, insieme agli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Parma, avevano puntato il dito contro il giochino dei «premi», ossia gli sconti che le aziende applicano alla grande distribuzione e parzialmente anche agli operatori tradizionali. Tutto assolutamente regolare, ma il problema era stata l'iscrizione di quelle voci a bilancio. In particolare, secondo la procura, erano state ben 1.200 le fatture relative a quei premi contabilizzate nel 2010 e riferite agli esercizi precedenti. Allo stesso tempo era spuntato un migliaio di fatture del 2010 contabilizzate negli anni successivi. L'obiettivo? «Occultare una quota significativa dei costi sostenuti nell'esercizio al fine di mostrare in bilancio una situazione economico-patrimoniale migliore di quella reale», aveva scritto il pm nel decreto di sequestro. Insomma, un maquillage contabile per essere certi di poter avere quel maxi finanziamento.