Tre anni e sei mesi a Jacobazzi

Roberto Longoni

Non ci fu concussione. Di corruzioni, invece, una sola delle due di cui Giovanni Maria Jacobazzi era accusato è rimasta in piedi: l'altra, relativa alla famigerata «area di sgambamento» dei cani in via del Taglio è stata derubricata a tentato abuso d'ufficio. Reato al quale si affiancano la truffa ai danni del Comune (se per le presenze in servizio o se per i buoni pasto lo si saprà solo dopo il deposito delle motivazioni), l'abuso d'ufficio (per le multe annullate) e il peculato d'uso (per il viaggio in Lombardia con la Panda dei vigili), comunque meno grave del peculato tout court.

Tirate le somme delle varie voci del processo, l'ex comandante della Polizia municipale è stato condannato a tre anni e sei mesi. Nove mesi in meno di quanto richiesto dai pm Lucia Russo e Giuseppe Amara, al termine di tre ore e mezzo di requisitoria. Inoltre, Jacobazzi dovrà pagare una provvisionale immediatamente esecutiva di 40mila euro al Comune (in attesa del giudizio in sede civile). L'avvocato Gianluca Paglia, che rappresentava l'ente in sostituzione dell'avvocato Marco Zincani, aveva concentrato l'arringa in un quarto d'ora. Tempo trascorso su un quadrante d'oro: Paglia ha chiesto 350mila euro di risarcimento danni, con una provvisionale di 100mila euro, per «il danno d'immagine al Comune di Parma».

Confrontate a queste, le cifre per le quali Jacobazzi è finito alla sbarra sbiadiscono. Un niente. Ma un niente privo della leggerezza di qualsiasi attenuante, per Lucia Russo, che parla di «sistematica vocazione all'illecità. L'imputato ha dimostrato di essere pronto a svilire le proprie funzioni per banali vantaggi patrimoniali a lui già facilmente accessibili attraverso il proprio status». Che potesse bastare una bazzecola di contropartita per commettere un reato è qualcosa che, stando ai pm (Amara ha accusato Jacobazzi di aver commesso illeciti con i buoni pasto: di certo non una gran cifra), sottolinea la predisposizione a «un uso spregiudicato della funzione pubblica». Spregiudicatezza che, secondo Lucia Russo, sarebbe stata dimostrata anche in fase processuale, «inducendo i testi a dire il falso».

Una delle due accuse di corruzione parla della sistemazione da parte di Alessandro Forni di un giardino pensile nella casa di Santa Marinella dell'allora comandante della Polizia municipale. Lavori per un conto di cinquemila euro, «effettivamente presentato» stando all'arringa dell'avvocato Giorgio Beni, difensore dell'ex comandante della Polizia municipale. «Cinquemila euro, in cambio dell'appalto da 12mila euro dell'area sgambamento cani, con un guadagno di duemila euro... Non esiste. Al massimo può essere stato male interpretato un capitolo di bilancio dal mio assistito». E in questo il collegio giudicante gli ha dato ragione.

Così come per la concussione relativa all'affaire Bergamaschi, l'ispettore che avvisò l'allora comandante della multa elevata da altri due vigili alle Sorelle Picchi. «Il mio cliente non minacciò Fabio Bergamaschi di trasferimento per questa vicenda: glielo propose, visto che aveva difficoltà a farsi seguire dai diretti sottoposti. E poi il comandante che bisogno aveva di annullare una multa che poteva benissimo stracciare lui per primo?». In realtà, si discute con la mente rivolta alla prescrizione prossima ventura. «Che non dipende da noi: non siamo stati noi a portare a questi tempi - sottolinea Beni -. Jacobazzi è stato arrestato nel giugno del 2011, e l'avviso di chiusura delle indagini preliminari è arrivato nel maggio 2015». In ogni casom, anche da questo capo d'imputazione l'ex comandante della Municipale è stato assolto.

Una notizia accolta con soddisfazione e con amarezza dall'imputato oggi non presente in aula, perché impegnato nella sua nuova professione: dopo un breve reintegro nell'Arma, Jacobazzi ora è giornalista. Scrive per «Il Dubbio» di Piero Sansonetti. «Mi occupo soprattutto di questioni legali, dopo averle provate sulla mia stessa pelle» dice. Mentre la seconda pelle, la divisa, al di là del fatto che ieri è stato anche interdetto per un anno dai pubblici uffici, «rischierebbe di procurarmi l'orticaria. L'amarezza con la quale accolgo la sentenza viene dai tre anni e mezzo ai quali sono stati condannato. Ma ancor di più da quei 40 giorni di custodia cautelare in carcere (per i quali è chiamato a pagare le spese, oltre a quelle per il processo, ndr). In cella sono finito per l'accusa più grave, quella di tentata concussione. Reato per il quale sono stato assolto: sulla base della sentenza, sarei dovuto essere sì processato, ma senza finire dietro le sbarre. Posso aver commesso sbagli, ma, mi preme sottolinearlo a tutti, non ho intascato un centesimo che sia uno».

La seconda accusa di corruzione (quella per cui è stato condannato) riguarda le poche centinaia di euro ottenute per le informazioni riservate fornite all'investigatore privato Giuseppe Lupacchini. Dati ottenuti facendo fare un accertamento allo Sdi da parte di un ex sottoposto nei carabinieri. Con questa divisa Jacobazzi era arrivato a Parma da responsabile del Nas, dopo aver comandato il Nucleo radiomobile di Monza dal 2002 al 2005, coordinando poi i Nuclei antisofisticazione della regione. Il cambio d'uniforme nel 2008, dopo la chiamata di Pietro Vignali: a 37 anni Jacobazzi assunse la guida della Polizia municipale. Che quella poltrona, tutt'altro che comoda, fosse affidata a un ufficiale dell'Arma era un segno dei tempi.

Erano gli anni nei quali sembrava che ai sindaci si chiedesse di impegnarsi in prima linea per la sicurezza. E la Polizia municipale di Parma, su questo fronte, doveva riprendersi da due brutti colpi. Lo rievoca Beni: «Nell'agosto del 2008, finì in rete la foto della ragazza di colore seminuda, a terra in caserma al termine di una retata antiprostituzione della Polizia municipale. Solo un mese dopo, otto vigili vennero arrestati per il caso Bonsu». Più che a un ex funzionario dello Stato, in certi momenti sembra il processo a un'epoca storica. In quel tempo, la città ancora veniva chiamata «petite capitale» e forniva modelli e spunti alla Capitale romana, con i suoi palazzi. «Jacobazzi - prosegue il suo difensore - si trovò tra due fuochi. Da una parte un sindaco che gli dava direttive precise: di maggiore elasticità con determinate attività commerciali e di rigore sul fronte della sicurezza. Dall'altra una Polizia municipale non pronta per certe attività». Era la Parma da bere, che ballava sull'orlo di un baratro. Un'era andata ormai in prescrizione. La sorte che toccherà già dalla primavera prossima ai reati di cui è accusato Jacobazzi. Ci sarà poco più del tempo di andare in appello.