Un Paese di furbetti ma anche di eroi

Anna Maria Ferrari

Gli italiani vivono alla mezza giornata, ha detto il giornalista scrittore Roberto Gervaso. Di conferme non ce n’è bisogno: gli ultimi dati sul Paese dei furbetti dicono che a Roma, su 5800 vigili, ce ne sono 700 inabili al loro lavoro. Ma qui ci interessano le eccezioni.

Di certo non vivono alla mezza giornata quei tre medici e dirigenti dell’Ospedale di Nola che il presidente della Regione Campania De Luca vorrebbe licenziare. Il 7 gennaio, in una situazione d’emergenza, con un picco di 300 richieste di accesso al Pronto soccorso contro le solite 160, pur di non rispedire a casa nessuno, pur di curare tutti nella mancanza di letti, barelle, perfino acqua, hanno fatto sdraiare i pazienti per terra e si sono chinati su di loro per assisterli. Le drammatiche foto dei malati sul pavimento sono finite sui social. Una paziente aveva un arresto cardiocircolatorio: «Il medico che ha operato a terra le ha salvato la vita. Cosa doveva fare, lavarsene le mani?», si è amaramente difeso il direttore sanitario Andrea De Stefano, uno dei camici bianchi sospesi. «Eroi», li ha chiamati il ministro della Salute Lorenzin. Intanto devono fare i conti con il rischio di essere licenziati. Nei guai per essere andati oltre il compitino previsto dal ruolo, i protocolli, la burocrazia, la rigidità delle mansioni. Oltre il giuramento di Ippocrate: per supplire a una mancanza dello Stato, si sono messi personalmente in gioco. Adesso rischiano di rimetterci: da modelli esemplari, trasformati in casi scoraggianti per qualunque altro cittadino che possa trovarsi nella stessa identica situazione. Di certo non vive alla mezza giornata l’artificiere Mario Vece, che la mattina di Capodanno, a Firenze, ci ha rimesso una mano e un occhio mentre disinnescava una bomba piazzata davanti a una libreria neofascista. Ha moglie e due figli piccoli, fisico da carrarmato. E’ stato mandato allo sbaraglio senza casco di protezione, senza utilizzare i robot come si fa in tutto il mondo, perché coi tagli alla spesa oggi quelle macchine in Italia sono dei vecchi arnesi inutilizzabili. Avrà avuto paura, avrà pensato ai suoi bambini a casa. Ma non si è tirato indietro. Non aveva neppure uno straccio di assicurazione che lo tutelasse dai rischi del mestiere: anche quella è stata tagliata alle nostre forze dell’ordine. Adesso gli chiedono di pagare il conto degli interventi e la protesi per la mano scoppiata assieme alla bomba. In teoria, sarebbe lo Stato che dovrebbe farsi carico delle spese, ma solo dopo che gli sarà riconosciuta la causa di servizio: attesa media, tra i cinque e i dieci anni. Come il carabiniere Giuseppe Giangrande, ferito a revolverate davanti alla Camera nel 2013 e oggi disabile. Casi eclatanti, ma non isolati: nei primi 10 mesi del 2016, i poliziotti e i carabinieri che hanno fatto fronte ad aggressioni sono stati 1744. Lecito chiedersi: lo rifarebbero?

Mario Vece, Giuseppe Giangrande, i medici di Nola: slancio, passione, professionalità. Modelli da portare in giro come esempi di responsabilità in questo Paese dove chi rispetta la legge, anzi fa di più, rischia di pentirsene. Andrebbero esaltati, affinché quell’agire sia un esempio potenziale per altri. Invece. La colpa? La loro straordinaria eccezionalità. Puniti da uno Stato, da una comunità, che non è in grado di farli lavorare in condizioni dignitose, li obbliga a scelte che li mettono a rischio: poi gliela fa pagare perché la loro unicità mette a nudo le inadempienze di un sistema che non va. Gli italiani si dividono in fessi e furbi, ha detto Prezzolini. Non è né fessa né furba l’ostetrica barese Rosa Maiullari: nell’inferno della nevicata che ha mandato in tilt il Sud, ha raggiunto il reparto di Ostetricia dell’ospedale Miulli di Acquaviva in trattore. Dodici chilometri di strade impraticabili. Guai a chiamarla eroina: «Non scherziamo, non ho fatto nulla di straordinario: mi sono solo impegnata per raggiungere il posto di lavoro». Chissà se alla fine avrà trovato una multa perché il trattore non era parcheggiato sulle righe blu.