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Giada Melley: «A Parigi ho realizzato il mio sogno di attrice»

di Mara Pedrabissi

05 Marzo 2018, 11:37

Parmigiana, 33 anni: ha fatto le valigie 10 anni fa. Non parlava francese ma voleva fortemente fare l'attrice. Ora ha una sua compagnia

Dalla piccola alla grande capitale, inseguendo, con pragmatismo folle, un sogno. Perché le storie belle esistono, basta volerle vedere: la bellezza è negli occhi di chi guarda, no? E' una piccola, grande storia quella di Giada Melley, giovane donna di quasi 34 anni, bellezza “acqua e sapone”, partita dieci anni fa da Parma per Parigi con l'idea di fare l'attrice, senza sapere neppure il francese: «E il giunge, e il tiene un premio ch'era follia sperar», risolverebbe Manzoni.

Giada Melley quest’anno festeggia dieci anni di attività a Parigi, con lo «status» di attrice e una sua propria compagnia...

«La mia vocazione di attrice però è nata a Parma. I primi passi sul palcoscenico li ho fatti a 11 anni al Teatro Regio. Da quel momento non ho più smesso. Mi sono iscritta a Discipline dello Spettacolo al Toschi, ricordo i bellissimi corsi di Lucia Perego. Tante persone hanno contribuito alla mia formazione, come Francesco Pititto o Adriano Engelbrecht del Lenz, con cui ho avuto il primo contratto a 16 anni. Alla fine del liceo, sono entrata alla scuola di teatro di Bologna “Garrone”, parallelamente lavoravo con Davide Doro e Manuela Capece, ora compagnia Rodisio. Poi c’è stato l’incontro con Letizia Quintavalla storica regista del Teatro delle Briciole: con “Pinocchio” abbiamo girato l’Italia e siamo stati invitati in Russia».

A 24 anni ha sentito l’esigenza di andare, mettersi alla prova...

«Sono partita dalla mia città per andare a Parigi. Senza parlare una parola di francese e senza conoscere nessuno qui. È stato molto difficile ma, non so perché, mi sono detta che qualcosa mi aspettava. Ho trovato un lavoro a Disneyland Paris poi sono stata presa alla scuola internazionale di teatro Jacques Lecoq. Dopo un anno, ero in scena. Recitare in francese era una sfida per me, è stato così che ho imparato la lingua. Oggi posso dire che parlare francese con l’accento italiano mi ha aiutata a avere la simpatia di molte persone».

I suoi genitori come hanno reagito? L’hanno sostenuta?

«Mi hanno sempre sostenuta, anche se a volte potevano sembrare preoccupati. Mi hanno incoraggiata a seguire una strada che non si vede nettamente, perché spesso, quando si fa un mestiere artistico, la strada la si scopre giorno per giorno. La migliore garanzia di riuscita è studiare ciò che si ama, questo permette di superare tutti i dubbi».

Quando si è concretizzata la possibilità di dar vita a una compagnia?

«Dopo quattro anni, ho capito che se volevo realizzarmi dovevo essere più intraprendente e creare una struttura e un’attività mia. Con Marion, un’amica e collega, abbiamo fondato la compagnia “Les muettes bavardes” e due spettacoli di teatro di figura e musicali. Li abbiamo messi in scena in tournée in Francia e in Marocco; sono degli adattamenti di due libri per bambini, “Loulou” di G. Solotareff, e “I tre briganti” di Tomi Unger. In quest’ultimo spettacolo abbiamo avuto l’onore di lavorare con il grande pianista argentino Gustavo Beytelmann, che ha composto la musica. Finalmente una produzione in cui canto, altra passione che si è concretizzata in questi ultimi anni al conservatorio Charles Munch di Parigi».

«I tre briganti» ha molto di parmigiano, nei materiali, nelle scenografie...

«Sì, qui ho realizzato il sogno di collaborare con Maurizio Bercini, direttore artistico della reggiana Cà luogo d’Arte. È lui, insieme a Donatello Galloni, ad aver costruito la scenografia. I burattini e altri oggetti di scena vengono tutti da Parma, da due antiquari di via Nazario Sauro. Che grande gioia aver portato a Parigi tutta questa bellezza».

Che differenza trova tra fare teatro in Francia e in Italia?

«La grande differenza è che in Francia esiste uno statuto per i lavoratori dello spettacolo che permette di avere una disoccupazione mensile stabilita sulla media delle ore lavorate e del salario ricevuto. Questo consente di avere del tempo da consacrare alla creazione senza rincorrere lavori saltuari per arrivare a fine mese. Inoltre a Parigi ci sono molti teatri privati, con lunghe programmazioni, che danno la possibilità di farsi conoscere. Collaboro anche con alcune compagnie italiane sempre con grande piacere ma la mia compagnia è in Francia e quello che ho realizzato in Francia partendo da zero, senza l’aiuto di nessuno, non credo avrei potuto farlo in Italia».

Com’è il suo rapporto, affettivo e personale, con Parma?

«E' il rapporto d’amore con la sua cultura che riempie e nutre il mio immaginario e quello di chi mi è vicino, come con la creazione dei Tre Briganti. Ho scoperto di essere di Parma una volta arrivata a Parigi. Da qualche anno, faccio parte del collettivo Progetto Antigone, composto da 19 donne, che racconta la tragedia di Antigone nelle scuole italiane e, con me, nelle scuole francesi. La direzione artistica è di Letizia Quintavalla che da Parma ci guida e sostiene. La cultura è patrimonio comune, viaggia, ci nutre e si arricchisce delle persone e dei luoghi che incontra e io ho come ambizione di essere il tramite di questo movimento».

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