Insulta, picchia e minaccia la compagna con un'accetta: condannato
Georgia Azzali
«Sono un uomo all'antica». Ha provato ad autoassolversi. Ma più che un gentiluomo un po' conservatore, al giudice è parso un violento, pronto a terrorizzare la compagna. L'ha umiliata e picchiata, minacciandola anche con un'accetta. Origini calabresi, 48 anni, a Parma da una vita, è stato condannato a 3 anni per maltrattamenti aggravati e lesioni dal giudice Adriano Zullo, come richiesto dal pm Laila Papotti. E almeno per ora resterà dietro le sbarre, dopo esserci finito sei mesi fa, quando non si era fatto scrupoli a violare il divieto di avvicinamento nei confronti dell'ex compagna. Eppure, il prologo della storia lasciava pensare a una trama ben diversa. Lei che, arrivata dalla Moldavia e dopo aver detto addio a un marito violento, mette un annuncio per cercare lavoro come colf. E' lui che risponde e la assume. E Maria (il nome è di fantasia, ndr) trova quasi subito il nuovo amore della vita. Verso la fine del 2012 resta incinta, ma ha ben poco tempo per gioire, perché lui comincia già a lanciare quei suoi interrogativi carichi di sospetti. Vuole sapere di chi è il bambino e comincia a parlare di esame del Dna. Era la donna con cui aveva deciso di vivere, ma poco per volta diventa la «zingara». La «zingara» che salta di letto in letto: ogni giorno c'è un pretesto per dileggiarla e minacciarla, anche se Maria prova a spostare un mobile in casa. Quando lui si infuria, poi, lei viene buttata fuori di casa, e ci deve rimanere anche per ore. E' una donna fragile, è incinta, ma lui non si fa troppi problemi a lasciarla sola per andare a ballare. «Perché non stai a casa con me?», prova a dirgli una volta. Ma la risposta sono alcune cinghiate sulla schiena.
Forse ha già capito che quell'uomo è la fotocopia del suo ex marito, ma c'è quella bambina in arrivo e c'è l'altra figlia, fino a quel momento in Moldavia con la nonna, a cui vuole stare vicino. La fa venire a Parma, perché anche lei deve far parte della nuova famiglia. Anche dopo il parto e l'arrivo dell'altra bambina in Italia, nulla cambia: restano le botte, gli insulti, soprattutto quando è ubriaco, e le pretese quotidiane di soldi, perché è lei che si spezza la schiena a fare le pulizie o in fabbrica, ma il denaro se lo prende lui. Vorrebbe lasciarlo, è convinta che non ci sia più nulla da ricostruire, ma ha paura. Paura di quell'uomo che le urla in faccia: «Se te ne vai, nessuno ti affiderà le bambine». E poi c'è la famiglia del compagno, quei parenti per cui lei resta l'estranea venuta dall'Est. Prova ad uscire di casa, rifugiandosi in un istituto religioso, ma quando lui va a riprendersi le bambine - che oggi hanno 5 e 12 anni - Maria decide di tornare a casa. Vuole proteggere le figlie, ma il sacrificio la fa apparire arrendevole agli occhi di quel marito padre padrone. A volte è costretta a dormire su un materasso in soggiorno, viene sbattuta a terra, eppure resta. Finché un giorno, davanti a casa, lui le scaraventa una sedia sulla schiena, poi le salta addosso e le fa sbattere la testa a terra. Ma c'è qualcuno che vede e decide di chiamare i carabinieri. E' l'inizio della lenta e faticosissima rinascita. Perché lui continua a darle la caccia, fino a quando si aprono le porte del carcere.