Le vacanze dei parmigiani tra gli anni Trenta e il dopoguerra

Lorenzo Sartorio

Parlare di vacanze  in questo periodo,  se  gli anni scorsi era un piacere, ora  non solo è un problema, ma   rappresenta pure   una notevole  difficoltà   specie   se  si  sceglie di trascorrere  le ferie al mare.  La colpa di tutto  ciò,   com’è noto,   è   di questo maledetto  virus  che ci ha cambiato  la vita. Ma,  come per magia,  proviamo  ad immaginare le  vacanze  estive dei nostri nonni che,  non saranno state  molto esotiche, ma,  almeno,  per chi poteva permettersele, avevano  il  pregio della  tranquillità e dell’eleganza. Ad esempio  una bella foto, d’inizi  900,  pubblicata nella  raccolta «Parma di una volta» (Gazzetta di Parma editrice) dell’indimenticato  Tiziano Marcheselli,  ritrae  due eleganti signore parmigiane,  con domestica al seguito,  che terminate  le  vacanze,  sono scese dal treno in Stazione  e si stanno dirigendo  verso  casa  attraversando  viale Bottego.  
Riferendoci, invece,   agli  anni Cinquanta o  giù di lì,  le partenze  per la  villeggiatura  erano  diversissime dalle  attuali  al punto da assomigliare  a «camel trophy» in piena  regola.  Alla mattina prestissimo (a volte  ad orari antelucani)  c’era la sveglia preceduta da un’agitazione serale non indifferente. Le valige,  rigide ed ingombranti,  erano pronte già da alcuni giorni. Si attendeva solo di chiuderle all’ultimo momento inserendo  gli spazzolini da denti ed il dentifricio.  L’operazione della chiusura dei bagagli era  movimentata e convulsa in quanto,  delle tre o quattro valige,  una solitamente  non si chiudeva mai ed occorreva  la pazienza, ma soprattutto la forza erculea del capofamiglia il quale, usando tutta l’energia che aveva in corpo, riusciva a  chiudere il bagaglio ribelle con la speranza di riaprirlo in albergo.  
Dopo avere fatto una  colazione leggera per non appesantire troppo lo stomaco in  vista dei tornanti,  si caricavano le valige  sulla Topolino o  sulla Giardinetta. Il viaggio  vero  e proprio iniziava alle porte della città, destinazione  il mare più vicino a casa: il Ligure o il  Tirreno.  In direzione Langhirano o Fornovo (a seconda  del passo prescelto da  valicare),  si  procedeva  verso il Lagastrello ed  il Cirone ( in entrambi  i passi  la strada non era  ancora  asfaltata), oppure  si optava per  la Cisa, il Bocco  o il Centocroci in quanto l’autostrada  non era che un  sogno o un’immagine  fantastica che si poteva scorgere in qualche film americano.  
Si attraversavano   strade provinciali costeggiando  campi e  prati  che vedevano già all’opera  frotte di contadini,  si incrociavano pochi autoveicoli, qualche camion ed  una pattuglia della Stradale a bordo di gigantesche e rumorose moto. Poi, finalmente,   ci si inerpicava  per  strade in salita che obbligavano  a  scalare  una marcia facendo  ringhiare il  motore della povera utilitaria.  Ed iniziavano  le  curve.  Il percorso, come per una sorta di strano maleficio, si tramutava in un toboga e, fatti  alcuni chilometri, ecco le prime fermate sul ciglio della strada per  dare la possibilità ai bambini di liberarsi  della precedente  colazione mentre la mamma teneva loro la fronte. Dopo un centinaio di curve,  alcune soste «idrauliche»  al limitare di boschi e prati, mai contate fette di limone anti - nausea che venivano inghiottite come  pane,  si giungeva   al fatidico passo dove la sosta era d’obbligo (quasi si fosse raggiunta la vetta dell’Everest o del Bianco)  per godere il panorama, respirare aria buona e addentare   quel  panino che la nonna   aveva preparato con cura a casa. Dopo di che iniziava la  discesa verso il «mare nostrum»  attraversando paesini  che,  poco a poco, abbandonavano  sembianze alpestri  per acquisire  fattezze marinare con tanto di palme, ortensie e gerani nei giardini, profumo di ginestre e oleandri, facciate delle case dai colori vivaci e un sole  che diventava sempre più sfavillante  quando,  usciti dall’ennesima galleria, si specchiava  sull’acqua  azzurro - cupo del mare.  
Finalmente si era  giunti alla meta. Improvvisamente apparivano spiagge   ben ordinate  con file di ombrelloni e sdraio, cabine bianche  come cresimande,  baracchini dove si vendevano bibite e cocco e l’immancabile ferrovia che lambiva il lungomare.  Già si pregustava il primo bagno nell’acqua salata,  i castelli  di sabbia,  le piste  su cui far correre  le biglie,  la  fettina di «coccobello» da  gustare rigorosamente dopo  avere effettuato il  bagno in quel “mare nostrum”  nel quale si specchiavano    le maestose  Apuane con le  loro sacre cime,  il Pisanino e il Pizzo  d’Uccello e  dove il  bagliore  del marmo riverberava  la luce del sole. Ed ecco Marina di Massa, la spiaggia dei parmigiani, dove spiccava per la sua eleganza antica l’Hotel Italia. 
ANNI TRENTA 
Ed allora un tuffo negli anni Trenta  è una lecita tentazione.  Sulla spiaggia dell’hotel,  eleganti cabine lignee  intarsiate  con motivi floreali,   tipicamente  liberty, ospitavano  bagnanti   che  indossavano pudichi   costumi.  Eleganti signore paludate con  ampie  vesti,  nel  pudibondo  secolo  di un romanticismo  che  stava per  diventare un  po’ più  libertino,    con i  loro costumi a metà gamba,  facevano ben attenzione  a che il sole non  oltraggiasse  più di tanto la loro nivea carnagione  difesa    da ombrellini e ombrelloni.  Ma in questa spiaggia,   consigliata  da tanti pediatri  poiché  l’aria del mare si sposava  con quella  delle  Apuane,  sorsero  anche  numerose colonie,  specie durante il Ventennio,  dove  tantissimi bambini parmigiani  in divisa come tanti soldatini,  irrobustivano  le loro  ossicine  al sole,   vegliati  da severe e inflessibili assistenti    le quali,   dopo  il  salutare bagno e  la rigorosa  seduta ginnica,  li riportavano  in quegli edifici  dalle forme  squadrate  e  tozze come lui, il Duce.  All’interno   dell’albergo  negli eleganti salotti paludati  di  morbidi velluti,  donne fatali   adagiate  in modo lascivo   nei  raffinati  canapè,   col  collo avvolto da  svariati  giri di perle, recitavano   versi dannunziani   fumando  sigarette dal  tabacco esotico   aspirato  con lunghi  e  preziosi  bocchini. Gli affreschi  liberty  alle pareti  facevano  da  sfondo  ad eleganti  dame,  impettiti  ufficiali   in uniforme  estiva bianca,  famiglie benestanti con  tate  al seguito,  donne fatali   in cerca del principe   azzurro,  anziane e ricche vedove   con la  speranza  che l’aria del mare  potesse   farle nuovamente diventare.. allegre.