La Domenica - Il racconto della settimana

Alla cortese attenzione

Riccardo Ferrazzi

Gentile Direttore, come ho avuto modo di dirLe, la mia vita è praticamente un romanzo. Nato nella prima metà del secolo scorso in Lombardia, al termine di una brillante carriera scolastica ho conseguito la laurea in scienze politiche presso l’Università di Taranto: l’indiscusso prestigio di un ateneo della Magna Grecia valeva il sacrificio del viaggio. La modestia mi impedisce di precisare la votazione di laurea.

Sin dagli esordi la mia attività fu rivolta a iniziative di alto contenuto sociale: mi dedicai ad aiutare il prossimo, specializzandomi nell’anticipazione di denaro contante a galantuomini travolti dalla sfortuna. Nella mia ansia di rendermi utile viaggiavo da Venezia a Saint Vincent, da Campione a Sanremo.

Prendendo a cuore le sorti di uno sventurato che aveva dovuto riparare in Costa Azzurra, il destino mi fece conoscere Estelle.

Estelle, in realtà, si chiamava Purificación Martinez e ballava il flamenco (o qualcosa di simile) a “El Morrocco” mettendo in mostra dei muscoli sodi che dalle cosce si innervavano su per i glutei fino alle reni.

Fu amore a prima vista, amore senza limiti, che non pensa altro che al bene dell’amata. Sapesse, gentile dottore, quanta costanza, quanta sagacia e (ahimé) quante sberle dovetti profondere per convincerla a lasciare “El Morrocco”, dove si avviliva in quelle danze lascive!

La portai con me a Parigi. Le aprii le porte del bel mondo: industriali, duchi e banchieri. Con un lieve adattamento del repertorio Estelle acquistò ben presto una solida fama.
Ma la mia vita è stata così piena che, in questa sede, non posso rendere conto di ogni dettaglio. Ebbi un rovescio di fortuna. L’invidia, sa. I pettegolezzi dei concorrenti. Le calunnie.

Mi ritirai in meditazione in un istituto di Opera, vicino a Milano. Le maldicenze parigine avevano rimestato anche nella mia attività umanitaria sui piazzali dei Casinò italiani. Per tre lunghi anni fui vittima della depressione. Pensavo a Estelle, caduta nelle grinfie di un ispettore capo della Sûreté. Lo giuro: io non ho mai trattenuto più del sessanta per cento. Invece quel maiale chissà come la sfrutta!

Ma non voglio tediarLa con i miei rimpianti.

In quella benemerita istituzione dove consumavo la mia tristezza, strinsi un vincolo di fratellanza con Juan Domingo Marpión, esule della Repubblica del Parapagal, anche lui vittima di calunnie e di oscure manovre. Insieme lasciammo l’Europa e ci infiltrammo clandestinamente nel suo paese d’origine.

In capo a due gloriosi anni di combattimento sulle pendici della Sierra, l’odiosa dittatura di Porfirio Silva dovette cedere il passo alla rivoluzione. Entrammo nella capitale in un tripudio di folla festante che lanciava fiori e invocava la benedizione della Vergine su chi veniva a restituire il bene più prezioso: la libertà.

Ma elettricità, telefoni, acquedotti, tutto versava in condizioni di insopportabile arretratezza. Come segretario personale del Presidente, mi adoperai per alleviare le sofferenze dei parapagalesi appaltando i servizi essenziali ad aziende tecnologicamente avanzate.

Mi creda: le multinazionali non sono avide e senza cuore. Accorsero numerose a servire la causa del progresso, nonostante l’ostilità dei reazionari che tramavano per la controrivoluzione.

Frattanto, un curioso disguido bancario stornò su conti esteri gli introiti derivanti dalla concessione degli appalti. Per una strana dimenticanza, li lasciammo là. Due anni dopo, quando Porfirio Silva si presentò al confine con un esercito di truppe mercenarie, Juan Domingo e io riparammo a Miami, e in seguito a Sankt Moritz.

La malinconia dell’esilio non ci impedì di mantenere viva la fiaccola dei valori per i quali avevamo combattuto. Ma il trascorrere del tempo e le inevitabili divergenze di opinioni ci divisero. Marpión tornò in America. Io mi ritirai a Lugano. Guardo il Casinò di Campione sull’altra sponda del lago e mi sembra di ritornare giovane.

Questa, gentile Direttore, è in estrema sintesi la storia della mia vita. Come ho avuto modo di accennarLe, mi propongo di narrarla diffusamente in un libro di memorie. È un progetto che, sono certo, non mancherà di interessarLa.

In fiduciosa attesa di un Suo cortese cenno di risposta, mi è gradito porgerLe i sensi della mia stima unitamente ai miei più cordiali saluti.