CULTURA
Romeo Franzoni, divulgatore delle composizioni di Paganini
Uno degli ultimi e maggiori esponenti della scuola violinistica paganiniana è indubbiamente Romeo Franzoni (1857-1941), musicista parmigiano dotato di un talento fuori dal comune che ha saputo tener alto per tutta la vita il nome della propria città formando un vivaio di artisti divenuti noti a livello internazionale.
Allievo del genovese Domenico De Giovanni – che a sua volta aveva studiato col fratello Nicola, direttore d’orchestra –, si era perfezionato a Berlino col celebre ungherese Joseph Joachim, uno dei più quotati virtuosi del tempo, riuscendo ad acquisire una tecnica formidabile che non temeva confronti; tanto che, persino l’anziano contrabbassista Giovanni Bottesini, prossimo alla morte, si era rivolto a lui per realizzare a Parma il suo Gran Duo Concertante, brano di ardua esecuzione per entrambi gli interpreti. Anche al tempo della rappresentazione di Aida nel 1872 al Teatro Regio, il giovane era figurato in orchestra con altri validi allievi della Scuola del Carmine, sotto l’occhio vigile di Giuseppe Verdi che assisteva a ogni prova.
Dopo gli studi, nel 1881 si era proposto quale insegnante volontario presso il locale Conservatorio ma, per ottenere la titolarità della cattedra di violino e il relativo compenso, aveva dovuto attendere la morte di Giuseppe Del Majno; soltanto nel 1884, con la vincita del concorso, si era assicurato quindi uno stipendio decente. Riguardo all’aumento della sua iniziale misera paga, aveva mostrato interesse persino Verdi e Franzoni si era portato a Genova per ringraziarlo. Il Maestro lo aveva ricevuto a Palazzo Doria e, nella circostanza, gli aveva parlato della sua nuova opera, Falstaff, lavoro che sarebbe andato in scena alla Scala nell’inverno del 1893. Franzoni avrebbe incontrato Verdi ancora una volta a Busseto dove si recò con un gruppo di allievi e l’allora direttore del Conservatorio, Giovanni Tebaldini, per un’esecuzione in onore dell’anziano Maestro. Quest’ultimo, tuttavia, indispettito coi propri concittadini, non aveva voluto assistere al concerto ma, al contrario, si era premurato di ricevere i due illustri ospiti a Sant’Agata alla presenza dell’inseparabile soprano Teresa Stolz.
Franzoni trascorse quarant’anni dedito all’insegnamento, iniziando a dar lezioni ancor prima che la vecchia Scuola di Musica di Parma fosse trasformata in Conservatorio; ed era già presente in commissione d’esame nel 1885, quando Toscanini si diplomò in violoncello e composizione.
Proseguì quindi ininterrottamente l’attività didattica sino al 1923 e fondò scuole strumentali di gran prestigio pure a Cremona, Mantova e Piacenza. Insegnò infatti a centinaia di studenti, molti dei quali divenuti noti in tutt’Europa: Francesco Bonaretti, Marco Segré, Odoardo Peretti, Giovanni Albisi, Gino Nastrucci, Giulio De Micheli, Alessandro Rossi, Pietro Venturini, Ercole Giaccone e tanti altri che occuparono posizioni di rilievo, presentandosi con l’importante segno distintivo di provenire dalla fucina violinistica parmigiana del Franzoni. Pure Franco Ghione, noto direttore d’orchestra che, nel 1923, fu in grado di sostituire all’ultimo momento Arturo Toscanini indisposto, era allievo di Franzoni, al pari di Aldo Priano, studente che venne invitato a suonare davanti al Duce a Villa Torlonia. Lì eseguì la Ciaccona di Francesco Maria Veracini revisionata da lui stesso e ricevette i complimenti di Mussolini, discreto violinista che, rivolto al nostro Romeo seduto accanto al pianista per girargli le pagine, esclamò: «Eccellente Maestro!», complimento accolto con grande soddisfazione sia dal docente, sia dall’allievo.
Oltre all’attività didattica, il Nostro funse costantemente da violino di spalla nella Regia Orchestra di Parma, ma era invitato spesso anche nelle maggiori compagini europee. In virtù della sua tecnica sbalorditiva, veniva chiamato ovunque per sottolineare eventi significativi e persino Cleofonte Campanini lo volle in orchestra per il concerto dato nel 1906 all’Esposizione Internazionale di Milano.
Franzoni fu il principale divulgatore delle composizioni paganiniane, grazie soprattutto all’amicizia che lo legava al barone Achille, figlio del grande violinista genovese che, nel momento in cui decise di pubblicare le composizioni ancora inedite del padre, si rivolse a lui per la revisione delle parti solistiche e a Giusto Dacci per la riduzione pianistica di quelle orchestrali. Inoltre, a lui solo concesse di eseguire il quarto concerto scritto dal padre del quale era stata rintracciata fortunosamente la partitura. Niccolò lo aveva eseguito all’Opéra di Parigi nel marzo del 1831 e nessun altro aveva più potuto riproporlo prima di Franzoni.
Nell’aprile del 1893, quando il violinista boemo Frantisek Ondricek fu a Parma per un concerto, Franzoni lo accompagnò a Villa Gaione dove viveva l’amico Achille Paganini, custode di tanti cimeli del padre. Il barone, per soddisfare il macabro desiderio dell’ospite straniero di ammirare il volto del suo idolo, convinto che vi fosse un nesso tra fisionomia e talento, chiese al sindaco il permesso di far riesumare il cadavere imbalsamato del genitore. Ne fu autorizzato e, l’indomani, una piccola comitiva capeggiata dal figlio di Achille, Attila, e formata pure da Franzoni, si recò al cimitero della Villetta. Vennero aperte le due casse che contenevano il feretro e, tra la commozione generale, fu possibile contemplare il viso ancora ben conservato del sommo artista protetto da una lastra di cristallo; sotto i brandelli dell’abito scuro rimaneva invece soltanto un po’ di polvere. Il musicista boemo, del tutto emozionato, raccolse una vite della cassa caduta a terra e volle portarla con sé quale ricordo di quel momento indimenticabile.
Franzoni suonava un magnifico strumento settecentesco costruito dal celebre liutaio Alessandro Gagliano; glielo aveva donato il suo maestro, Domenico De Giovanni, ed egli se ne servì costantemente per eseguire un repertorio costituito, oltre che dalle opere di Paganini, da sue trascrizioni di celebri lavori di noti compositori quali un adattamento in notazione moderna dell’Introduzione e Ciaccona per violino di Veracini: lavoro, pubblicato da Ricordi nel 1904, al quale Franzoni aveva aggiunto l’accompagnamento e una sua cadenza. Per speciale concessione della famiglia, inoltre, propose più volte anche pagine inedite e mai eseguite dell’amico di gioventù Camillo Sivori, uno degli ultimi allievi di Paganini.
Il nostro violinista, negli anni, ottenne vari riconoscimenti: nel 1903 fu nominato Accademico onorario del Real Collegio dei Residenti di Firenze e, nel 1914, conseguì l’onorificenza di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Corona.
Dopo tanti anni di insegnamento, raggiunta l’età della pensione, sulla base delle benemerenze acquisite, fu nominato Professore emerito, in modo tale da poter condurre al diploma alcuni suoi alunni che avevano iniziato gli studi con lui. Dal dicembre 1924 gli subentrò ufficialmente Michelangelo Abbado. Al momento del collocamento a riposo, Franzoni ricevette una lettera di congratulazioni da Giacomo Puccini, musicista in cordiali rapporti con lui sin della giovinezza. I due, infatti, al tempo degli studi, avevano vissuto nel capoluogo lombardo nella medesima squallida pensione condividendo stenti e privazioni. In seguito, il compositore lucchese, in occasione delle rappresentazioni teatrali delle sue opere a Parma, aveva seguitato a frequentare Franzoni.
Tramite l’onorevole Umberto Gabbi, nel 1925 il Nostro donò l’autografo paganiniano della Serenata per due violini e chitarra a Benito Mussolini; questi dispose che la composizione fosse conservata nella Reale Accademia Musicale di Santa Cecilia. Inoltre, nel 1931, offrì al Liceo Musicale di Genova importanti stampe e manoscritti appartenuti a Nicola De Giovanni.
Sempre interessato alla musica, trascorreva in maniera tranquilla i suoi ultimi anni di vita e, talvolta, veniva invitato a far parte di commissioni di concorso. Nel frattempo, dalla villetta nel quartiere periferico del Cristo dove aveva abitato per decenni, si era trasferito in centro e spesso i parmigiani lo vedevano passeggiare vestito signorilmente, coi capelli brizzolati e i baffetti tagliati a spazzola, animato dal consueto sguardo acuto dietro gli occhiali d’oro.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1941, le figlie donarono al locale Conservatorio il materiale musicale appartenuto al padre che, con la sua scomparsa, chiudeva una gloriosa epoca legata al periodo maggiormente fulgido del nostro Conservatorio.