Libri

Quante cose ci può raccontare un piccolo tubetto di conserva

Antonio Bertoncini

Un nuovo capitolo delle «interviste impossibili» di Giovanni Ballarini

Giovanni Ballarini è l’uomo delle interviste impossibili: ha rivolto domande a Napoleone e a Giuseppe Verdi, ma non si è fermato qui. Le sue interviste impossibili, ospitate sulla Gazzetta il giovedì, hanno valicato i confini dell’umano per arrivare agli oggetti, ai cibi, alle verdure e ai culatelli, insomma a tutto ciò che ha a che fare con l’alimentazione.
Le ultime le ha raccolte in un nuovo libro «Memorie di un tubetto di conserva. Interviste impossibili a cibi, gusti e colori della nostra cucina» presentato al San Paolo, insieme a Giancarlo Gonizzi e a Giuseppe Benelli, docente di filosofia a Genova, autore dell’introduzione.
Perché proprio un tubetto di conserva? Glielo ha chiesto Gonizzi e Ballarini ha risposto: «Perché è il titolo di un capitoletto e mi sembrava intrigante, in grado di suscitare curiosità, ma anche perché il tubetto della salsa è nato a Parma, e infine perché il tubetto viene spremuto come le idee, il mio pensiero che esce per arrivare ad altri”. In questa risposta ci sono già ragioni per scorrere le pagine del libro. Ma Ballarini ne porta altre legate al nostro ancestrale rapporto con il cibo e con gli oggetti che ne sono la base creativa: «Mangiando – scrive – introduciamo simboli, emozioni e relazioni, perché il nutrimento, forse già dal liquido amniotico, è il primo dei linguaggi non verbali con cui ci confrontiamo». E ancora: «I cibi morbidi ci riportano ad una integrazione affettiva, quelli duri e croccanti ci danno l’idea di determinazione, quelli dolci sono consolatori».
E poi, insieme al cibo ci sono le parole, c’è la scienza incompleta della etimologia, come ha ben ricordato Giuseppe Benelli: «E’ il mistero che accompagna le parole che ci affascina, che ci consente di viaggiare con la mente, e Ballarini ci fa viaggiare riscoprendo il gusto dell’origine delle parole, utilizzando la cucina per percorrere strade non frequentate fino a regalarci la sorpresa della scoperta».
Così in quelle 200 pagine scopriamo che il prosciutto è la gamba del maiale prosciugata con il sole e con il sale, che culatello si scriveva con due “t”, perché era riferito alla culatta, che per noi il cibo può essere “dolce come il miele, amaro come il chinino, salato come l’acqua di mare, acido, gradevole e disdegnato come l’aceto”, e se dal gusto passiamo alla vista, possiamo fare interviste impossibili al caffè nero e misterioso o al peperoncino piccante di un rosso deciso. Insomma il libro ci aiuta a scoprire il segreto insondabile delle parole che raccontano tante storie sul cibo, quelle in cui Ballarini è maestro.



Memorie di un tubetto di conserva. Interviste impossibili a cibi, gusti e colori della nostra cucina»
(Tarka editore, 200 pagine, 17 euro).