Fotografia

Amore e guerra: il fronte di Gerda Taro e Robert Capa

Mara Pedrabissi

Eros e Thanatos in un bianco e nero di contrasti, tra guerra e pace: la mostra «Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra» a Torino (Camera – Centro italiano per la fotografia, via delle Rosine 18, fino al 2 giugno) ci restituisce - di nuovo “insieme”, ed è questa la rarità - la coppia che ha cambiato la fotografia di guerra nel Novecento, nella “sostanza”, grazie alla disponibilità di apparecchi più piccoli e maneggevoli, ma anche nella “comunicazione” se pensiamo alla trovata dei due fotografi di ritagliarsi nomi e identità d'arte.

Le 120 fotografie, scelte dai curatori Walter Guadagnini e Monica Poggi, tra cui degli inediti dalla «valigia messicana», documentano la guerra civile spagnola tra repubblicani e fascisti, comprendendo due scatti “iconici” - termine abusato, ma non è questo il caso - che sono «Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia» di Gerda Taro e «Morte di un miliziano lealista nei pressi di Espejo» di Robert Capa, intorno a cui sorse addirittura la querelle se fosse autentica o costruita.

Galeotto fu uno scatto. Parigi, 1934: Endre Friedmann, fotografo ungherese in esilio per rimediare da vivere scatta foto pubblicitarie. Avvicina una modella, questa non si fida di quel giovanotto che sembra un attore americano e preferisce farsi accompagnare alla seduta da un'amica tedesca, Gerta Pohorylle, esule dai modi eleganti e sicuri. Colpo di fulmine, nonostante l'esilio. Anzi, quello che unisce il fotografo e colei che diventerà sua musa-amante-madre è il senso dell'esilio, gli ideali condivisi e ovviamente l'attrazione.

Lui, lasciata l'Ungheria, è un fotografo provetto (aveva già scattato la celebre foto di Trotsky con le braccia allargate, presa dal basso) ma a Parigi campa di lavoretti. Lei, nata a Stoccarda nel 1910 in una famiglia borghese di origini ebree, approda nella Capitale bohemienne dopo aver tastato con mano la galera e i primi sentori antisemiti. Sulle rive della Senna, Endre insegna a Gerta le basi della fotografia; insieme frequentano i caffè del Quartiere latino per “promuoversi”. Nel 1935 lui scrive una lettera alla madre: «Cara mamma, ho conosciuto una ragazza che ti piacerebbe molto» e racconta la loro quotidianità frenetica: «Ci svegliamo presto, la nostra vita è correre a destra a sinistra, scattare foto, scrivere didascalie e correre nelle redazioni per venderle». Per crescere al “borsino” degli ingaggi, Gerta ha il colpo di genio e inventa il personaggio di Robert Capa, famoso fotografo americano arrivato da poco nel Continente. Funziona. Anche lei cambia nome: nasce Gerda Taro.

Il 1936 è l'anno “clou”. La coppia va in Spagna per documentare la guerra civile. Quelle foto, ora nella mostra torinese, restituiscono il senso della guerra a noi che, mai come oggi, sentiamo il peso di due conflitti vicini e subiamo quotidianamente immagini di guerra. Impossibile non cedere ai paragoni.

La guerra di Spagna è fatta dagli uomini, è fatta dalle donne, nelle foto di Gerda e di Robert; è la guerra di chi combatte senza avere la dotazione necessaria, con scarpe di fortuna. C'è la miseria ma anche la speranza dei sorrisi che spuntano in bocche sdentate, illusioni di libertà sotto l'ampio cielo di Spagna che spesso domina gli sfondi. L'altra faccia della guerra è il dolore delle vedove, di chi resta; la fame solitaria dei bambini divenuti orfani; la paura nei rifugi sotto le bombe. E poi lei, la Morte, ritratta a pochi centimetri di distanza, sui tavolacci degli obitori.

Le due immagini iconiche sono il «Miliziano colpito a morte» di Capa, straordinaria potenza plastica, la morte scolpita nell'eternità, e «La Miliziana» di Taro, fotografata dal basso, mentre punta la pistola in un contrasto tra la posa severa e la femminilità nelle scarpe coi tacchi.

La coppia torna a Parigi, ma nel luglio del '37 Gerda Taro è di nuovo in Spagna. Resta coinvolta in un episodio bellico e l'auto su cui trova un passaggio viene travolta da un mezzo militare. Trasportata sanguinante in un ospedale vicino, morirà la mattina del 26 luglio 1937, a 26 anni. Le sue ultime parole: «Si sono presi cura della mia macchina fotografica?». Fedele al suo motto «Se una foto non è venuta bene, è perché non sei andato abbastanza vicino», Robert Capa morirà nel 1954 a 40 anni, inviato in Indocina, saltando su una mina. Il nome di Robert Capa è stampato nella ideale walk of fame della fotografia mondiale di guerra. Helena Janeczek, nel 2018 ha vinto il Premio Strega raccontando la vita di Gerda Taro nel romanzo «La ragazza con la Leica».