Il racconto della domenica

Ostacoli e inganni: l'ora della verità

Monica Borettini

Erano passati tre mesi dall'assassinio di Leila ed io non potevo arrendermi all'idea che il suo carnefice potesse restare impunito.
Una sera i frantumi della vetrata per poco non mi colpirono in pieno viso. Mia figlia Margot aveva raccolto il sasso che era avvoltolato in un pezzo di carta, non senza un lieve tremore alle mani e mio marito sobbalzò dalla sua poltrona, incredulo. Immaginai che qualcuno tentasse di spaventarmi: in effetti il messaggio era oltremodo chiaro - smetti di fare domande o la pagherai cara -. Un avvertimento, una minaccia. Il nido di case che attorniava la mia era stato da me attenzionato con domande di vario genere a quasi tutti i relativi abitanti. Ero già stata sgridata dal commissario Thalibaff il quale mi aveva pregato di lasciar lavorare gli inquirenti . Ed ora mi sorbivo pure una sonora strigliata da Andrè che non condivideva affatto la mia cocciutaggine. “Vuoi metterci tutti in pericolo?” furono le parole di mio marito. “Non hai ottenuto granché col tuo impegno di detective maldestra. Lascia fare a chi è demandato a questo compito. Leila non tornerà più e noi siamo vivi. Ora dobbiamo guardarci le spalle e andare avanti, non ti pare?”.
Durante il funerale avevo scrutato a lungo i visi dei presenti. Il mio sguardo aveva perlustrato e perforato ogni dove fossero alloggiati un paio di occhi senza che si materializzasse in me qualche sospetto concreto. Mi aveva colpito tuttavia l'atteggiamento di Marianne Migraux che continuava a singhiozzare. Non sapevo che fossero amiche. Leila non mi aveva mai parlato di questa vedova che aveva due figli da allevare e campava di sussidi. Avevo cercato di parlarle ma questa mi aveva evitato con grande energia. Ciononostante non potevo accettare l'idea che una persona così mite e dimessa potesse aver compiuto un gesto tanto efferato. Fatto sta che Marianne non aveva mai aperto la porta ad ogni mio tentativo di parlarle.
Naturalmente lo avevo già spifferato al commissario il quale mi aveva ringraziato rinnovandomi l'invito a starmene tranquilla. Ne avevo parlato con Jacquot ma egli pure non mi era stato di grande aiuto. Decisi quindi di smettere la mia poco fruttuosa attività di ricerca anche perché si avvicinava l'annuale festa degli alberi ed io avevo promesso agli organizzatori di cucinare alcune torte che mi riuscivano particolarmente bene. Tutto il paese era invitato: le signore avrebbero potuto mettersi in ghingheri poiché oltre al ballo, nella serata era prevista anche l'elezione di miss mamma di Grandfleuve e come sempre c'era grande trepidazione per questa piacevole tradizione che ci vedeva uniti per una notte intera in cui fare baldoria, incontrarsi e scambiare idee e progetti per il futuro del nostro paesino. Si poteva pensare che la manifestazione avrebbe avuto un tono meno festoso perché la perdita di una delle compaesane più stimate, portava con sé un senso di grande vuoto ma la vita doveva continuare e questa era la festa più desiderata. Avevo preparato un piccolo discorso per ricordare Leila e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo. L'anno precedente c'era anche lei e dopo numerosi brindisi con l'idromele migliore del globo ci eravamo fatte tante risate e balli fino a tarda notte.
Andrè era esausto per il tanto ballare: non era stato uno scherzo concederci un giro per ciascuna. Per fortuna che anche Jacquot non si era tirato indietro e si era fatto largo tra i numerosi pretendenti che avrebbero danzato volentieri con la nostra amica aggraziata come un cerbiatto. Era una persona così gioviale! Mi manca così tanto.
Quest'anno era tutto differente o forse lo era solo per me. Le chiome dei faggi gonfie di un verde imperatore che si era nutrito delle abbondanti piogge dei giorni passati, stormivano lievemente nella sera, sembravano accarezzarci fra le tante lucine colorate. Notai Marianne che confabulava con Leonie Devos una ragazzotta dai modi rudi che mi costrinse a pormi delle domande. Che potevano avere in comune quelle due con trenta anni di differenza? Ricordai anche nettamente la mancanza di Leonie al funerale di Leila. Dovevo smetterla: la mia vita era tutta improntata ad elucubrazioni senza risposte. La voce del presidente della giuria popolare annunciò la vincitrice del concorso: la bella brunetta in abito rosso dai grandi occhi nocciola sollevò il trofeo col suo bimbo in braccio e la gioia sembrava una cipria rosata depositata sui nostri volti per un istante.
Tra il pubblico acclamante notai anche il commissario con sua moglie. Feci finta di nulla: dovevo concedere alla mia mente un po' di riposo.
Qualche giorno dopo in paese circolava la notizia dell'arresto di Leonie e Marianne. La vicenda aveva contorni agghiaccianti. Si vociferava che il sasso lanciato verso la mia casa fosse opera di Leonie, autrice della rapina sfociata nel delitto, dietro pressione di Marianne a caccia di soldi. Dopo una accurata perquisizione a casa di Marianne anche la statuetta raffigurante l'ibis era stata ritrovata. Ignoro se il mio impegno sia stato di qualche utilità ma ora che la verità è venuta a galla e Leila può riposare in pace, il mio tormento è ancora più atroce. Maledetta ignoranza. Maledetta violenza. Cancri della società. Se Marianne avesse chiesto aiuto a Leila, ne sono certa, non glielo avrebbe negato ed ora lei sarebbe ancora qui con noi.