Il racconto della domenica

Delon e Bardot venivano qui

Cesare Pastarini

«Vede?» mi disse. «Quello è un figlio di puttana».
Non avevo una gran voglia di rispondere, ma nemmeno volli apparire maleducato: «Cosa glielo fa supporre?».

«Per come cammina. Si atteggia a padrone della città, l’aria superba, passeggia lentamente mettendo i piedi uno davanti l’altro senza essere un modello, la puzza sotto il naso. Fuma tenendo la sigaretta penzolante dalle labbra. Un figlio di puttana, è ovvio».

Mi si era avvicinato così, mentre ero seduto al tavolino di un caffè a Saint-Germain-des-Prés. Piccoli tavoli tondi posizionati sul marciapiede, ancora pochi avventori di una mattina estiva, all’alba. Quell’uomo aveva puntato proprio me, che non conosco nemmeno bene il francese (questo non lo poteva sapere), scegliendo la sedia vuota al mio fianco di pertinenza di un altro tavolo, senza chiedere il permesso. Sia chiaro, non è che per sedersi a un tavolino a me vicino si debba compilare un nullaosta, semmai va chiesto al cameriere. Però, attaccare discorso così, peraltro puntando il dito su una persona che io certamente non conoscevo, e sarei stato pronto a scommettere che non la conosceva nemmeno lui, mi risultò quantomeno insolito e un po’ traumatico, considerando che ero sveglio da un’oretta e che mi ero alzato presto per non sprecare la giornata.

Rivolsi lo sguardo alla mia colazione. Avevo optato per un croissant au beurre e per un café expresso spécial Flore. Lo stesso caffè lo facevano anche con l’aggiunta del Baileys, che il mio stomaco trovava eventualmente più adatto per il pomeriggio. Mentre addentavo il dolce - non tanto per la fame, quanto per evitare di prolungare il dialogo con quel distinto signore che mi pareva dal carattere leggermente tranchant - egli avvicinò la sedia trascinandola di fronte a me, rivolgendo le sue spalle alla strada. Piegò il gomito appoggiandolo di fianco al posacenere e col pollice indicò dietro di sé.

«Cosa le dicevo? Un figlio di puttana. Ha gettato la sigaretta lanciandola a terra con pollice e indice, si è aggiustato il Borsalino e ha infilato le mani in tasca come se nulla fosse, manco si credesse Jean Gabin. L’ha notato?».

«Veramente stavo solo cercando di non sbriciolare sulla giacca». Avrei voluto finirla lì, ma la mia curiosità non riuscì a frenare. «Mi scusi, perché ce l’ha tanto con quel signore? A parte l’episodio del mozzicone, dico».

«Non sopporto più il mondo, dobbiamo fare qualcosa. Forse non sopporto più nemmeno lei che è qui a fare una colazione da turista».

«E cosa mi vieta di fare una colazione da turista? Lo sono!».

«Ehi, non alzi il tono. Per ora non ho usato punti esclamativi».

«Beh, non li ha usati, ma cinque minuti fa ha offeso una persona per come si atteggia e mi ha detto che forse non sopporta nemmeno me. Il che mi fa sperare che può proseguire i suoi discorsi da solo o con qualche altro malcapitato».

«Lei si ritiene un malcapitato perché ho dato del figlio di puttana a una persona che non conosciamo?».

Lo immaginavo: non lo conosceva nemmeno lui. Tuttavia non seppi cosa rispondere. Rimasi in silenzio per almeno due minuti, finii di mangiare, bevvi il caffè ormai tiepido. Chiamai il cameriere e chiesi di pagare, lasciando qualche moneta in più sul tavolino. Feci il gesto di alzarmi. Il tutto sotto lo sguardo vigile di quel signore tanto distinto quanto singolare. Mi guardò come se anch’io fossi un figlio di puttana.

«Dove pensa di andare?».

«Ho finito la colazione, la conversazione mi pare terminata e ora vado a fare il turista, magari metterò pure una baguette sotto l’ascella, giusto per sedimentare le sue convinzioni».

«Io non ho alcuna certezza. Mai. Se lo incida nella memoria. Quando non so le cose, le studio, cerco di capirle. E solo poi traggo conclusioni. E conosco le persone: quello è un figlio di puttana, vorrei sapere il motivo per cui continua a camminare avanti e indietro, ma tant’è. E lei è un turista: sbaglio?».

«Non sbaglia. Però mi permetto di farle notare che la condizione di turista non è un atteggiamento, o un carattere. Si tratta semplicemente di un dato di fatto. Cosa diversa, almeno così a me pare, è essere maleducati o peggio, come lei ritiene quel signore che ha etichettato».

«Non è un'etichetta. È il realismo, bellezza. Ho un senso innato sulla realtà delle cose e delle persone. Pragmatismo, caro monsieur Croissant. Non si offende se la chiamo così, vero? Lei sa dove ha fatto colazione? Spero di sì. Se lei fosse passato da qui cento anni fa, avrebbe incontrato Jean-Paul Sartre, Emil Cioran, Simone de Beauvoir, Giacometti, Picasso. Derain! Che probabilmente non ha mai sentito nominare. Ancor prima Apollinaire. Lo sa che qui veniva Alain Delon con la Bardot? E che quello era il tavolo preferito di Serge Gainsbourg?».

Ammisi di non sapere chi fosse Derain, stavo per dirgli che stavolta era stato lui a usare il punto esclamativo, ma tacqui e lo lasciai proseguire.

«Abbiamo bisogno di guide così, di intellettuali così. Non ce ne sono più. Ci siamo trasformati in un popolo di ipocriti. Non abbiamo più il coraggio delle nostre azioni. Tiriamo il sasso e nascondiamo la mano. Non diciamo più le cose che pensiamo. Tutto per opportunismo: soldi, posizione sociale, carriera. Sa una cosa? Chi se ne frega se lei è un turista e se quello è un figlio di puttana. Bazzecole. Ha presente in quale contesto storico viviamo? Non sappiamo più cogliere i risvolti politici e sociali. Quelli economici un po’ di più, ma solo perché il costo della vita ci condiziona pesantemente. Non ci interessiamo più di niente, soprattutto non vediamo più l’altro. Usciamo di casa con una spruzzata di profumo – a proposito, anche Yves Saint-Laurent, de Givenchy, Lagerfeld e Paco Rabanne passavano spesso da questo caffè – e ci sembra che il mondo giri solo per noi. Purtroppo, mio caro Croissant, non è così. Per questo è necessario osare, sederci accanto a chi non conosciamo, provare a intavolare un dialogo, anche e seppur volgare, utile a svegliare le nostre coscienze. Lei e io potremmo iniziare una nuova corrente culturale, mi sembra la persona adatta, nonostante la scelta della colazione. A proposito, da dove arriva?».

«Non importa da dove arrivo, a questo punto ciò che conta è dove sto andando. Merci e au revoir, monsieur…?».

«Quelque chose me dit qu’on se reverra. Au revoir».