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Ospiti surrealisti nella dimora di Luigi Magnani

Stefano Roffi

Nella Villa dei Capolavori di Mamiano, dimora di Luigi Magnani e sede della mostra «Il Surrealismo e l’Italia» fino al 15 dicembre, colpisce la presenza di un dipinto, rarissimo in Italia, di Johann Heinrich Füssli. L’artista, autore del celebre The Nightmare , alla fine del Settecento, oltre un secolo prima delle teorie di Sigmund Freud, fondanti per il Surrealismo, aveva espresso in pittura una dimensione onirica parallela a quella conscia al tempo concepita come unica reale, originando l’intuizione dell’inconscio, di come nel sonno possa risvegliarsi quanto viene “rimosso”, quanto non trova libertà nello stato di consapevolezza.

Si tratta di una scena dell’Amleto. Magnani, infatti, desiderava per la propria collezione, già ricchissima di capolavori, un dipinto che testimoniasse il proprio amore per Shakespeare, di cui possedeva edizioni preziose e di cui era lettore appassionato. “To sleep, perchance to dream”. Sono parole pronunciate da Amleto che lo rimandavano a un mondo avulso dalla realtà, dalle urgenze quotidiane, un mondo onirico viatico per un viaggio metafisico.

Anni prima la scelta di Magnani era caduta sullo straniante Enigma della partenza di Giorgio de Chirico, fatto di vuoti e attese, come un grande interrogativo sull’esistenza stessa della realtà, una scena che può essere un sogno. De Chirico può essere posto nel punto d’arrivo di una linea in cui vengano accomunati i grandi romantici visionari, partendo da William Blake e dallo stesso Füssli, per passare poi attraverso il Simbolismo di Gustave Moreau e di Arnold Böcklin.

Nel dipinto, a cominciare dal titolo, ricorrono alcuni dei termini di maggior significato nella teoria dechirichiana: l’enigma, il mistero che la lettura dei filosofi aveva insegnato a scorgere dietro le apparenze più consuete, e la partenza, il momento mitico per eccellenza, quello che trasforma l’uomo in eroe, in esploratore dell’ignoto. E proprio alla scoperta dell’ignoto, del senso nascosto delle cose mirava la ricerca intrapresa dall’artista, teso a cogliere l’identità profonda della realtà circostante che solo si rivela a uno sguardo nuovo, capace di andare al di là della realtà fisica. In Enigma della partenza sono presenti i simboli nietzschiani della vela e del mare, metafore delle avventure della mente e di un itinerario dello spirito tra gli enigmi dell’esistenza; non a caso, gli ultimi Wahnbriefe (Biglietti della follia ) di Friedrich Nietzsche costituirono uno dei temi letterari preferiti da de Chirico e dal fratello Alberto Savinio.

Proprio Savinio fu uno dei più stretti sodali di Magnani nel lunghissimo soggiorno romano di quest’ultimo fra gli anni trenta e i primi cinquanta, uno dei suoi interlocutori più affini nell’ambito della pittura, della musica e della letteratura. Possiamo immaginarli insieme a teatro e nella villa sulla via Nomentana dove Magnani amava invitare gli intellettuali, gli artisti e gli aristocratici che costituivano il suo mondo d’elezione. Entrambi erano compositori e critici musicali, e in un racconto di Savinio, dal titolo Concerto privato , rivive un pomeriggio musicale nella dimora di Magnani, mentre “ nella casa si respira l’ètere di un alto e rarefatto musagismo”.

“ Gli invitati arrivano alla spicciolata. Presentazioni rapide, sorrisi non prima accesi che spenti, e la certezza che nessun legame duraturo, nessun’amicizia salda nascerà da questi incontri ”. Atmosfera surreale.

L’altro grande artista surrealista che Magnani a lungo frequentò nella capitale, ma non soltanto, è Fabrizio Clerici. Ritrattista di vaglia, Clerici preferì, qualche anno dopo la morte, tratteggiare l’amico, anziché con la matita, nelle pagine del racconto Trovarsi con Gino Magnani . Alla mente dell’autore affiorano i ricordi degli incontri a Roma a Palazzo del Grillo, nella residenza romana di Magnani, nella Villa di Mamiano. Il ricordo della dimora romana, in occasione di un invito a pranzo con Magnani e i suoi genitori Eugenia e Giuseppe, è un poetico e surreale trascolorare fra le tenui tinte dei Morandi appesi alle pareti e quelle delle pietanze che sommessamente dipingevano la sobrietà dei commensali: “Entrare in quella sala equivaleva varcare un preciso confine che dall'austerità dell'atrio trascendeva nella celestiale esposizione di una ventina di dipinti di Giorgio Morandi che coronavano i muri attorno all'ampio tavolo del centro. In vita non avevo mai veduto tanti Morandi riuniti in un solo ambiente. Una volta seduto al mio posto, Gino mi suggerì di guardare i quadri a pranzo concluso. Ricordo benissimo quella minestrina, quella tapioca così albula, così lieve. Ma s'accordava tanto bene alle tenerezze delle tinte di quei dipinti appesi. Del resto, non so se per puro caso o per studiata e premeditata civetteria, tutta la cena era cromaticamente morandiana. Dalla tapioca si passò alla blanquette de veau . Poi un roseo tenerissimo sformato di verdure, per concludere con quel dolce d'altri tempi, d'altre generazioni, che risponde al nome di blanc manger . Anche arrivati ai formaggi, ultima tappa delle portate, i toni caldi e quelli freddi dell'esposizione di svariate qualità nostrane e francesi si mantenevano in stretta parentela con la tavolozza bolognese”.

Nell’estate 1983, insieme a Clerici aveva fatto visita a Magnani la pittrice surrealista Leonor Fini, in Italia in occasione della monografica al Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

Con una lettera su carta azzurra Leonor si era presentata a Magnani: “ Pregiatissimo Signore, il nostro amico Fabrizio Clerici che già da tempo mi parla di Lei e della sua magnifica dimora dei quadri ammirevoli … “. Sicuramente ammirò il Füssli, ispiratore di certe sue tematiche nordiche, e lasciò un commento sul diario degli ospiti “ Con tanta gioia et emozione ” dove, oltre alla firma di Fabrizio Clerici, si conserva quella di Enrique Ruspoli, commensale in quella giornata memorabile. Ruspoli, bisnipote del principe Camillo Ruspoli e di Carlota Luisa de Godoy y Borbón, duchi de Sueca, certamente avrà illustrato a Fini e a Clerici il grande quadro di Francisco Goya La famiglia dell’infante don Luis del 1783-1784, che Carlota Luisa aveva ereditato dalla madre, figlia di don Luis e nipote del re di Spagna. Il quadro era poi stato trasferito nel Palazzo fiorentino dei Ruspoli, fino all’acquisto da parte di Magnani nel 1974. Il dipinto raffigura la famiglia del fratello di Carlos III in una situazione di intimità familiare insieme ai domestici, del tutto inconsueta nella tradizione della ritrattistica di corte. Molti sono gli elementi stranianti: il tavolino a cui manca una gamba, il personaggio con la camicia insanguinata, la teatralizzazione di una posa probabilmente mai verificatasi, l’enigma del momento della giornata in cui la scena si svolge, le carte da gioco che nascondono un mistero, la candela che irradia luce su una scena impossibile, l’incomunicabilità tra i personaggi. Il pensiero corre a Buñuel.