Palazzo del Governatore
Erri De Luca: «Modificare il rapporto uomo-ambiente»
Lo scrittore ha presentato il suo ultimo libro «L'età sperimentale»
La rassegna «Altri racconti» si è conclusa ieri pomeriggio al Palazzo del Governatore su una metaforica parete di roccia; a scalarla per noi, con la robusta imbragatura di parole che contraddistingue il suo arrampicare la pagina della vita, è stato Erri De Luca perché quella rupe vertiginosa altro non è che la vecchiaia, al centro del suo ultimo libro (steso con Ines de la Fressange), «L’età sperimentale», dove l’attributo indica non solo la libertà creativa che la vecchiaia offre a chi la vive, ma anche il suo essere unica per ciascuno, diventando quindi oggetto di una riflessione sempre inedita.
«In questa stagione sono un principiante» ha raccontato lo scrittore dialogando con Adriano Cappellini, Rettore del Maria Luigia «proprio come nella scrittura: infatti tutte le opere che ho composto prima non mi aiutano mai ad iniziare o continuare quella successiva. La vecchiaia è l’epoca dell’”ancora”: quando la gente si stupisce delle tue azioni reiterate sei diventato ufficialmente vecchio. C’è una filastrocca dell’appennino bolognese che sottolinea come l’esistenza di un uomo equivalga a quella di tre cavalli. Anch’io ho individuato nella mia la morte di due “cavalli” su tre, ossia la messa a fuoco di due momenti di passaggio; ora attendo la terza.
Non mi interessa però la longevità del “cavallo”, ma il vivere bene giorno per giorno. Nella mia traduzione del Qohelet ho tradotto “vanitas” con “spreco”: in ebraico quella parola si dice “hebel” e corrisponde alla prima vita “sprecata” nella Bibbia, quella di Abele. Il redattore dell’Ecclesiaste annota quindi che, malgrado lui abbia avuto a disposizione molte opportunità e ricchezze, a malincuore sente di aver buttato via il tempo. Personalmente penso di non sprecare niente: c’è un bellissimo film di Ettore Scola, “Maccheroni”, dove Marcello Mastroianni passeggia sul lungomare di Napoli insieme a Jack Lemmon e proclama: “Com’è bello perdere tempo!”.
Ecco, lì il verbo “perdere” significa esattamente il suo contrario: vivere con intensità. Durante le mie attività quotidiane mi accorgo che è bello perdere tempo, cioè impiegarlo nelle maniere più svariate. Ad esempio usando la memoria: spessissimo mi ripeto a mente poesie e pagine che mi sono piaciute. Il cranio festeggia quando viene utilizzato, non quando viene addormentato; il corpo raggiunge quindi un entusiasmo senile se lo sollecitiamo con disciplina. Questa sono riuscito a costruirla anche grazie a vent’anni di lavoro in fabbrica. Mi ha sempre colpito vedere degli operai morire quasi subito dopo la pensione perché il loro corpo non era riuscito a reggere l’inerzia. Ogni giorno passeggio per almeno un’ora e mi accorgo di molti elementi che prima non coglievo: la luminosità, ad esempio. Le ultime parole di Goethe furono “Più luce!” e io penso che intendesse proprio questa nuova, raggiunta percezione.
Con questo sguardo originale penso e guardo al futuro: per farlo bisogna essere disinteressati, cioè partendo dal presupposto di non averci un posto prenotato. Credo sarà un avvenire molto impegnativo: la nostra generazione è stata l’ultima a potersi permettere di andare all’arrembaggio delle risorse della Terra. Quella successiva sarà costretta ad inventarsi un’economia della riparazione che mi auguro sia innescata da una “conversione”, simile a quella di San Paolo: il futuro apostolo cade a terra sulla via di Damasco, resta accecato per tre giorni e poi inizia a fare esattamente il contrario di ciò che faceva prima. C’è bisogno di questa trasformazione che, a sua volta, modifichi i rapporti di forza tra la specie umana e l’ambiente».