L'umana medicina
Sale e salute: relazioni pericolose
Da oro bianco a sostanza (quasi) proibita
«Non aggiunga sale ai cibi!» dice il medico quando la pressione arteriosa spicca il volo. Il suggerimento è sostenuto da valide ragioni scientifiche: la nostra è una società intossicata dal cloruro di sodio, “sale” per antonomasia, l’unico, tra i tanti, di cui parleremo in queste righe.
«Voi siete il sale della terra» (Matteo, 5, 13)
Tutti gli organismi hanno sviluppato, in milioni di anni di evoluzione, quella che il grande fisiologo Claude Bernard definì «la costanza del mezzo interno». Il bilancio del sodio è solo una parte di questo meraviglioso equilibrio ed è mantenuto, a fronte di enormi variazioni dell’apporto di sodio con gli alimenti, attraverso una finissima regolazione dell’eliminazione, soprattutto renale, di questo elemento. Il sale, fortemente osmotico, trattiene molta acqua, facendo aumentare il volume del sangue e influenzando la regolazione della pressione arteriosa. Il rene, di concerto con altri organi, decodificando messaggi meccanici e molecolari, regola istante per istante l’eliminazione del sodio, mantenendo così l’equilibrio: le nostre cellule vivono nell’acqua salata.
Fino al Neolitico l’uomo non aggiungeva sale al cibo. I nostri antenati cacciatori-raccoglitori si rifornivano di sale assumendo quello naturalmente contenuto nelle carni delle prede. Poi, con la rivoluzione agricola, quando gli uomini divennero stanziali, moltiplicando le risorse alimentari e di conseguenza sé stessi, si scoprì che con il sale si potevano conservare molti cibi, scongiurando le carestie invernali, e che, guarda guarda, parecchie pietanze diventavano più gustose. Strano: se siamo progettati soprattutto per eliminarlo, perché la natura ci ha provvisto di papille gustative destinate a riconoscerlo come gradevole? I sapori amaro e acido, al contrario, tendono a dare repulsione, in quanto li identifichiamo istintivamente con sostanze velenose: è un meccanismo evolutivo di difesa.
D’altronde non siamo gli unici a trovare buono il sale: molti animali (le capre sono proverbiali) vanno a leccare le superfici salate. Esistono popolazioni di macachi giapponesi che hanno imparato a lavare le patate in acqua salata mentre le divorano, in tal modo insaporendole.
«Sapore di sale, sapore di mare» (Gino Paoli)
Solnitsata, fiorita nell’odierna Bulgaria nel V millennio a.C., è considerata dagli archeologi la più antica città europea. Fu fondata a supporto dell’estrazione e commercio del sale: una cinta muraria ne proteggeva i depositi, fonte di prosperità.
Tra le prime civiltà umane che lavorarono e commerciarono il sale ci fu quella cinese: in una delle più antiche farmacopee della Storia, Peng-Tzao-Kan-Mu (circa 2500 a.C.), sono descritti 40 tipi di sale. I cinesi intuirono l'enorme potere economico derivante dal sale e ne stabilirono il monopolio già parecchi secoli prima dell’era cristiana. In Italia il monopolio del sale, istituito nel 1862, fu abolito solo nel 1974. Molti ricorderanno ancora gli esercizi recanti l’insegna “Sali e tabacchi”, unici autorizzati a venderlo: era oro bianco.
Gli egizi furono tra i primi a scoprire che il sale conserva pesci e carni: impararono a conservare in tal modo anche le ovaie dei grossi cefali della foce del Nilo, inventando di fatto quella prelibatezza che chiamiamo bottarga. Detestavano però i maiali, ritenuti portatori di lebbra (repulsione poi trasmessa all’Islam), altrimenti, forse, avrebbero inventato il prosciutto. Dalla conservazione delle carni a quella dei cadaveri umani il passo fu breve. In un luogo chiamato Natrun, in prossimità del letto di un fiume asciutto, gli egizi scoprirono un sale (in realtà una miscela di sali), che chiamarono, dal luogo di scoperta, natron, con il quale impararono ad imbalsamare le mummie, giunte fino a noi dopo oltre 4000 anni. Guarda caso il simbolo chimico del sodio è Na, da natron, in latino natrium: per l’appunto.
Altro importante popolo antico che prosperò grazie al commercio del sale fu quello dei celti, tanto che i romani li chiamarono galli, traendo il nome, secondo alcuni studiosi, dal greco antico hals, che significa semplicemente “sale”. Un po’ come altri chiamarono i tedeschi kartoffeln o gli italiani maccaroni. Diverse località presero il nome da questa radice semantica: la città tedesca Halle, quelle austriache Hallein e Hallstadt, e, naturalmente, la Galizia spagnola e quella polacca.
I romani fecero del sale un pilastro dell’economia, anche in ragione dell’ampio utilizzo delle conserve salate di pesce: il garum è la più conosciuta. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, afferma che non si può concepire una civiltà senza il sale. Fuori Roma il prezzo variava a seconda della distanza dalla salina più vicina, applicando una tassa ideata dal tribuno Marco Livio, soprannominato salinator. Una delle prime e più importanti vie romane fu la Via Salaria, e i legionari venivano pagati anche col sale: il “salario”. I romani associarono il sale anche al concetto di salute: salubritas.
In tutto il bacino del Mediterraneo e del mar Nero si moltiplicarono le saline e le manifatture di salagione degli alimenti. Con un termine generico veniva chiamato salsamentum ogni prodotto alimentare salato, ma in particolare il pesce. Non è casuale che dalle nostre parti esistano ancora “salsamenterie”, con riferimento però ai prodotti salati del maiale: paese che vai, salsamentum che trovi…
Fin dalle sue origini – coincidenti con la caduta dell’Impero romano d’Occidente – Venezia fondò gran parte delle proprie fortune sul sale. Dapprima lo produsse nelle proprie lagune, tanto che Cassiodoro, letterato e ministro del re ostrogoto Teodorico, scrisse ai veneziani: «…tutta la vostra energia si concentra sulle saline, e da questo deriva tutto il vostro guadagno… se possono esservi uomini che non hanno bisogno di oro, non è mai esistito un vivente che non desideri il sale». In questa produzione Venezia entrò in spietata concorrenza con Cervia, e suscitò gli appetiti dell’eterna rivale Genova. Dopo la guerra di Chioggia con cui confinò Genova in altri mari, Venezia acquisì Cervia e le sue saline, mettendo fine alle dispute. Ma Genova, cacciata dalla porta, rientrò dalla finestra e fece della propria colonia Ibiza un importantissimo produttore di sale. La Serenissima non stette a guardare e conquistò Cipro, facendone il più importante produttore di sale del Mediterraneo orientale.
Mentre la Chiesa medievale stabiliva i giorni “di magro” (che arrivarono ad essere quasi la metà dell’intero calendario!), il piccolo ma coriaceo popolo dei baschi – l’unico in quell’area a non essere stato romanizzato – imparava a cacciare le balene ed altri cetacei. I quali cetacei, superbi e grassi mammiferi, vivendo nell’acqua erano considerati dalla Chiesa “pesci magri”: ciò fece per secoli la fortuna dei baschi, che vendettero carne salata di balena in tutta Europa. Poco dopo si affacciarono all’orizzonte i vichinghi con i loro merluzzi, solleticando nuovi appetiti negli stomaci e nelle menti degli europei. Nell’area mediterranea, ricca di sale, si produsse il baccalà (merluzzo salato), mentre i veneziani, dopo il provvidenziale naufragio di Querini alle isole Lofoten nel 1432, divennero i principali importatori di stoccafisso (merluzzo essiccato ai gelidi venti del nord).
Nel tratto di Alpi che va dalla Baviera all’Austria si trova un immenso giacimento sotterraneo di sale, fantasma d’un oceano primigenio: il Salzkammergut. Nelle vicinanze, dalla parte austriaca, sorse anticamente la città del sale per antonomasia: Salisburgo, che combatté per secoli contro i bavaresi per i diritti di estrazione del prezioso minerale.
Proprio da Salisburgo, a fine ‘700 fu chiamato a Parma il Barone De Mohl, direttore di quelle miniere, per ottimizzare l’estrazione dell’acqua salata che fluiva dal sottosuolo di un paese cui aveva dato il nome: Salsomaggiore. Già i romani e prima di loro i celti avevano scoperto quelle riserve, e almeno dal 1200 (ne parla Fra’ Salimbene nella sua Chronica) fu attivo un pozzo per l’estrazione di quell’acqua molto più salata del mare. Da quella salamoia sovrasatura non era difficile ricavare il sale per evaporazione. Ciò fece gola a svariati potenti e la salina passò dai Pallavicino ai Visconti, agli Sforza, ai Farnese e poi ai Borbone. Nei primi decenni del XIX secolo Lorenzo Berzieri, medico condotto del paese, sospettò virtù terapeutiche in quelle acque, facendo spiccare il volo al termalismo di Salsomaggiore. Ma questa è un’altra storia…
Un altro importantissimo giacimento europeo, sfruttato fin dal Neolitico, è quello che si trova nella Galizia polacca, a Wieliczka, non lontano da Cracovia. Qui, a partire dal XV secolo, i minatori ricavarono, nelle cavità lasciate dall’estrazione del sale, cattedrali sotterranee e saloni per concerti, riccamente decorati: spicca un bassorilievo scolpito nel sale, riproducente “L’ultima cena” di Leonardo da Vinci. L’Università di Cracovia, tra le più antiche d’Europa, fu fondata dal re Casimiro III “Il Grande” grazie ai proventi di questa miniera.
Ultimo ma non certo in ordine di importanza, citiamo il sale delle miniere di Sicilia, salgemma purissimo, lasciato da un mare scomparso cinque milioni di anni fa. Uno dei giacimenti più importanti al mondo, fornisce oltre il 75% del fabbisogno nazionale. Leonardo Sciascia, nipote di un minatore, racconta che nella sua Racalmuto ci fu «un’avidità di sfruttamento, una vicenda di arricchimenti e decadenze paragonabili a quelli della corsa all’oro».
«Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui…» (Dante Alighieri, Paradiso, XVII, 58)
Uno degli inneschi della Rivoluzione francese fu proprio la tassa sul sale imposta dai re di Francia e progressivamente aggravata. La tassa era detta gabelle e i suoi esattori, dotati di poteri che sconfinavano nell’arbitrio, gabellieri. Nel primo anno post-rivoluzione l’Assemblea nazionale abolì la tassa sul sale, prontamente ripristinata dall’ex rivoluzionario Napoleone nel 1804, una volta consolidato il proprio potere.
Gli inglesi non furono da meno e imposero pesanti tasse sul sale nell’impero indiano, fondato sulle macerie della dinastia Moghul e trattato come brutale impresa commerciale (infatti affidato alla Compagnia delle Indie Orientali, sodalizio mercantile), pur sotto il controllo di un viceré. Gli indiani mal digerirono il divieto di raccogliere il sale dalle numerose paludi costiere o dai cospicui giacimenti, covando un crescente rancore contro i dominatori. Tale avversione culminò nella famosa “marcia del sale” del 1930, promossa e condotta dall’avvocato Mohandas Gandhi; dopo tale impresa il grande poeta premio Nobel Rabindranath Tagore lo appellò Mahatma: grande anima. Gandhi partì da un villaggio dell’entroterra assieme a una settantina di adepti per recarsi a piedi sulla costa del Gujarat, ricca di sale, con l’intento di produrlo in autonomia. Il viceré Lord Irwin si beffò della cosa, convinto che Gandhi sarebbe crollato strada facendo e che ciò «sarebbe stata una soluzione molto felice». Il mare, invece, fu raggiunto dopo 25 giorni di marcia, e non dai quattro gatti iniziali, ma da oltre diecimila persone, che si erano unite lungo il cammino. Il viceré ci rimase di sale e scatenò dure repressioni: Gandhi fu arrestato, ma la prima spallata all’Impero britannico era stata data, e una quindicina d’anni dopo l’India diventò una nazione libera.
«Cum grano salis» (Plinio il vecchio, Nat. Hist., 23, 77, 3)
L’enorme aumento di produzione agli albori dell’era industriale e l’invenzione del frigorifero resero il sale meno prezioso, dando però inizio all’odierno problema del suo abuso.
Verso l’inizio del XX secolo si è iniziato a capire che l’eccesso di sale è fortemente associato a diverse malattie cardiovascolari e renali, in particolare l’ipertensione arteriosa. Oggi un’enorme mole di dati sostiene tale osservazione.
Nel mondo “occidentale” sono diventati di gran moda sali delle più svariate provenienze e tipologie: sale rosa dell’Himalaya, nero delle isole vulcaniche, rosso ferroso, iodato, fluorurato, affumicato… e chi più ne ha, più ne metta. Quindi nei paesi benestanti, dove il sale non rappresenta più un problema economico, si è determinato uno scisma tra i salutisti che aborrono il sale e i crapuloni che lo degustano in mille varianti.
Gli studi più recenti hanno dimostrato che tra sale e salute esiste una relazione complessa, riassumibile nel concetto matematico-statistico di “curva a J”: in pratica sono nocivi alla salute sia la carenza, sia l’eccesso di sodio, mentre una ragionevole media (stimata attorno ai 5-6 grammi di sale da cucina al giorno – computando anche quello già contenuto negli alimenti – ampiamente variabile in base a fattori individuali, climatici, etnici) è statisticamente associata alle sopravvivenze più lunghe. Dunque che fare? Di fatto dobbiamo tornare ai consigli antichi: cum grano salis, appunto, o con un po’ di sale in zucca. Che vale poi un po’ per tutto…
Del valore economico del sale è rimasta memoria nei modi di dire. Se di un’automobile costosa diciamo che è “cara” (aggettivo dalle connotazioni affettuose), una più sgradevole multa risulta “salata”. Alla fin fine sulle umane sorti tramonta il sole, ma non il sale.