Narrativa

Roberto Longoni «Malditerra», l'epopea della generazione inutile

Uno struggente e appassionante debutto che sa di mare e di memoria

Roberto Longoni presenterà «Malditerra» il 24 luglio a Bedonia alle 18, in piazza Lagasi, il 25 alle 21 a Chiavari, alla Società economica di via Ravaschieri 15, mentre il 2 agosto sarà a Fornovo alla Corte Borasino, alle 18,30 e il 5 agosto a Lavagna, alle 21, al porticato Brugnardello.

«Dillo a Roberto». Qui da noi, in Gazzetta, si fa così. Quando serve qualcuno capace di raccontarla davvero una storia, ascoltandone il battito segreto o restituendone, col vestito bello, l'urgenza, navigando al largo degli asettici e ridondanti comunicati stampa senza restare intrappolato nelle secche della banalità o, peggio, naufragare nell'indifferenza, noi, lo diciamo a Roberto. Che i fatti sono fatti, non si scappa: ma c'è modo - e penna - per riscattarli dall'anonimato, per salvarli dall'oblio. Questa volta però a Roberto Longoni, da più di trent'anni cronista, affascinato dal mondo e dai suoi paradossi, della Gazzetta di Parma, non glielo ha detto nessuno: ha fatto tutto da solo. Ha radunato i pensieri curva dopo curva sulla strada per il Golfo (e ritorno), lui che partito da Chiavari si è inerpicato sul Bocco portandosi dentro il mare: li ha tenuti, scommetto, a lungo, in un cassetto, per poi in un giorno obliquo sorridere, costretto malgrado tutto all'angoscia di una pianura infinita, del suo stesso «Malditerra».

Un sentimento, una condizione esistenziale, che fa di un romanzo che si muove controvento l'epopea giovane e ribelle della «generazione inutile», degli eterni secondi e dei nati in esilio, in quegli anni '80 (prima del vuoto spinto) che hanno lasciato per strada morti e reduci, quando per i ventenni di allora bruciati dal sole e dalla salsedine non esistevano che due stagioni: «l'estate e la sua memoria».
C'è il ritorno dell'eroe, motore e colonna portante dell'intera narrativa occidentale, nell'appassionante, struggente, debutto di Longoni: quel «nostos» intriso di un'inspiegabile, accennata, sofferenza - l'«algos» -, il cui abbraccio forma la parola nostalgia. Verrebbe da chiedere a Fabrizio, il protagonista - che forse non a caso ha un nome stendhaliano molto caro da queste parti -, rientrato a casa uomo dopo esserne fuggito ragazzo con uno zaino pieno di segreti, cosa abbia fatto tutto questo tempo, se, come il Noodles di «C'era una volta in America», sia andato a letto presto: non ce ne sarà bisogno perché il fluttuare continuo di passato e presente che si litigano il proscenio, tra flashback emotivi e, mai troppo tardive, rese dei conti, solleverà ogni dubbio.

Ragazze belle come Ladyhawke da guardare con gli occhi del rimpianto, partigiani finiti in cornice, creature fatte di mare: e poi lui, Quello della barca, a cui non bastava nulla che fosse di questo mondo. Novello Odisseo costretto ad affrontare i suoi fantasmi (anche quelli in carne ed ossa), Fabrizio ci apre la porta della sua ostinata giovinezza, permettendoci di tuffarci nell'irripetibile, là dove si inganna l'estate per non farla finire. Dagli echi degli anni di piombo al flagello dell'eroina, amicizie, rivalità e amori della generazione che ballò sulle macerie del Muro flirtano con l'autodistruzione (come James Dean - e nell'epilogo c'è tanto del mito di «Gioventù bruciata» -, come Jim Morrison...), in cerca di una meta, di uno scopo, di un'isola che ancora non c'è.

Con «Malditerra» (Arca Edizioni, pag. 368, euro 19), Longoni, complice una scrittura liquida e cinematografica, disegna la mappa dell'altrove, spargendo dilemmi anche nei giorni apparentemente più spensierati, sferzati dal vento, burrascoso, del senno di poi. Non ci sono pensieri diritti nel suo romanzo, forse, al massimo, solo destini segnati: ma, soprattutto, c'è un desiderio, un bisogno, di orizzonte, di infinito, nell'impossibilità di restare ancorati ai soliti posti, alle stesse abitudini. Una voglia costante di mollare gli ormeggi che a volte è coraggio e altre codardia: e, sempre, ricerca scomoda di sé, del pezzo mancante, di una ragione, se una ragione ci deve proprio essere. In attesa del dilagare dell'estate, Longoni, tra coming home e coming of age, accarezza il perenne rollio della memoria, trovando - come ben sottolinea nella sua prefazione (che potete leggere qui sotto) un altro ex ragazzo del Golfo, Pino Cacucci, anche lui partito un giorno verso un puerto escondido - «un malessere, un disagio, che è la cifra interpretativa dello sfacelo odierno».
Lo stesso, forse, che una ragazza molto bionda e troppo bella immortala con la sua reflex: come un residuo di altre maree, rottami di un'epoca senza bandiera. Laggiù nel Golfo dove, tra battere e levare, Fabrizio si riconosce subito, sin dalla prima riga, senza dubbio alcuno: «Io sono questa terra», afferma, come fosse l'unica cosa di cui è certo. Allo stesso modo in cui Longoni potrebbe ora affermare: «Io sono questo libro».