Al Cubo di via Spezia
«Crash» di Gerri Lunatici tra fragilità umana e rapporto con la macchina
Gerri Lunatici non è solo insegnante di liceo, laureato in Filosofia e Storia dell'arte, è da sempre un eclettico e raffinato pittore e illustratore. Torna con la mostra «Crash» ad esporre (nella Galleria Bianca al Cubo di via Spezia, civico 80, dal 10 al 23 ottobre) con una serie di lavori che si calano nell'attualità. La mostra affronta il tema del rapporto uomo-macchina in chiave abbastanza apocalittico. «Ma l'arte ha il potere di riscattare anche i disastri e gli orrori più evidenti - spiega l'artista -, infatti il sottotitolo è “La bellezza accidentale”, e invita il pubblico a trovare la bellezza anche nei rottami e nei relitti».
«Crash» è un termine inglese che significa scontro, incidente. «Rispetto all'italiano incidente, «crash ha una sonorità più efficace, onomatopeica, evoca il suono dei cristalli che si infrangono, delle lamiere che si contorcono - entra nel dettaglio l'artista -. Rende più l'idea, l'immagine dello scontro, dell'impatto, dello schianto. Suoi sinonimi sono collisione, cozzo, collasso, è un termine che si usa per definire un disastro aereo. Ma è frequente anche nel linguaggio informatico per indicare il blocco del funzionamento di un sistema di elaborazione elettronica. Insomma, “crash” è una parola che evoca il disastro».
«Crash» è anche il titolo di un bellissimo film (1996) di David Cronenberg, tratto dall'omonimo libro di James Ballard del 1973. Ballard è noto soprattutto per i suoi romanzi di fantascienza, «ma questo romanzo racconta la storia di alcuni personaggi un po' strampalati, che si eccitano con gli incidenti stradali, con una forma di erotismo alquanto perverso, espressione di un rapporto malato con le macchine, raffigurazione dell'alienazione dell'uomo moderno. Dal libro di Ballard, il regista canadese David Cronenberg trasse un film che vinse il Premio della Giuria a Cannes in quello stesso anno. Cronenberg trasforma la trama surreale di Ballard in un viaggio allucinatorio, cupo e inquietante, che porta i personaggi sull'oro della follia».
«Il tema degli incidenti - continua l'artista -, dei veicoli distrutti o abbandonati è stato esplorato da diversi artisti nel corso del XX e XXI secolo, spesso come metafora della società moderna, della fragilità umana, del consumismo, della decadenza o semplicemente per il loro impatto visivo. Andy Warhol è stato forse l'esempio più celebre. Negli anni '60, Warhol creò la se rie "Death and Disaster", utilizzando immagini prese dai media che ritraevano incidenti stradali - come “Silver Car Crash (Double Disaster)”, suicidi, sedie elettriche. Il suo intento era quello di esplorare la desensibilizzazione della società di fronte alla violenza e alla morte, ripetutamente mostrate dai mass media, e il lato oscuro del sogno americano e della cultura consumistica simboleggiata dall'automobile. Ha trattato anche incidenti aerei - “129 Die in Jet!” e altri disastri. Lo scultore americano John Chamberlain è famoso per le sue opere realizzate assemblando parti di automobili rottamate e pressate. Anche se non rappresenta l'incidente in sé, utilizza i rottami colorati e contorti delle carrozzerie per creare composizioni astratte piene di energia, trasformando i resti della cultura automobilistica in sculture monumentali».
«Anche César - prosegue l'excursus Lunatici -, artista francese, è noto per le sue "Compressions", sculture create comprimendo automobili o altri oggetti metallici tramite una pressa idraulica. Queste opere trasformano l'oggetto d'uso comune e simbolo di status (l'auto) in un blocco compatto, un monumento alla società industriale e ai suoi scarti. Altri artisti hanno lavorato su questo tema: lo scultore tedesco Wolf Vostell, il fotografo Edward Burtynsky, il pittore britannico John Salt. Anche Anselm Kiefer ha spesso incluso nelle sue opere immagini o elementi tridimensionali di aerei (spesso in piombo, danneggiati o simbolici), navi o sottomarini, usandoli come metafore potenti per la guerra, la distruzione, la fragilità umana e il peso della storia».
I quadri in esposizione non si limitano a rappresentare l'automobile incidentata come soggetto estetico (da qui il sottotitolo), ma attraverso un linguaggio crudo e poetico vogliono esplorare la complessità del rapporto uomo-macchina in un'epoca di crisi, dove l'automobile, simbolo del boom economico e della modernità, si trova a confrontarsi con nuove sfide ambientali, economiche e sociali. Le opere, pur nella cura della forma, catturano l'energia del momento dell'impatto, la violenza della collisione, ma anche la fragilità della carrozzeria, metafora della condizione umana, e non si focalizzano sulla rappresentazione realistica dell'incidente, ma scavano nella materia pittorica, creando un dialogo tra figurazione e astrazione, tra ordine e caos.
«Crash» non è solo una mostra di pittura. «Molte opere sono accompagnate da un racconto, una storia che svela l'identità del veicolo, il suo passato, le persone che lo hanno posseduto o guidato. Attraverso queste diverse strategie narrative, cerco di dare voce agli oggetti, trasformando la mostra e il suo catalogo in un affresco corale che intreccia destini individuali e storia collettiva».
La mostra invita a una riflessione sul significato dell'automobile nella società con temporanea, sul suo ruolo nel definire identità e status symbol, sulle contraddizioni di un progresso che ha un costo elevato in termini di inquinamento e di sicurezza. «“Crash” è un invito a guardare oltre la superficie dell'incidente, a interrogarsi sul nostro rapporto con la tecnologia e sul futuro».
«Crash» non è solo una mostra di pittura. Molte opere sono accompagnate da un racconto, una storia che svela l’identità del veicolo, il suo passato, le persone che lo hanno posseduto o guidato.