CINEMA RECENSIONI
Ritorno a Seoul - In Corea cercando i genitori biologici
Quello dove nasci «è il luogo dove, in estate, la terra è un tappeto di fiori». Freddie è tornata in Corea per cercare i suoi genitori biologici, è stata adottata, è francese, non parla la lingua, ha una foto di se stessa bambina accanto a una donna nel portafoglio, l’unica radice che sembra tenerla legata a quella terra. E’ un film sulla ricerca della propria identità «Ritorno a Seoul», seconda regia di Davy Chou che si è ispirato alla vita di Laure Badufle, artista coreana che all’età di un anno è stata adottata e trasferita in Francia. E’ lei ad aver ispirato il personaggio di Freddie: disperata, felice, spaventata. Le sue tante vite sono le nostre, mentre in viaggio cerca la madre e se stessa, nascondendo la tristezza che l’amica le legge negli occhi.
«Ritorno a Seoul» è un film di sguardi e di parole non dette o non capite. Parole tradotte male o nascoste. Di bugie raccontate a se stessi per sopravvivere e di scelte compiute per lo stesso motivo. E’ un film sulle radici e sul senso di tornare a casa e di cercarla, una casa. Freddie ci è capitata per caso a Seoul (sarà vero?), poi ha iniziato a cercare: la macchina da presa segue la bravissima Ji-Min Park nel corso di più anni. Non vuol essere consolatorio «Ritorno a Seoul», anzi. È spesso disturbato come i sentimenti della sua protagonista. Parla di cicatrici e di divisioni, in un paese che vive scisso. E’ un film sul dolore dell’abbandono. E infine sul ritrovarsi, un giorno, come Freddie nella hall di un albergo, un non luogo in cui, seduta a un pianoforte, mette insieme le note di una canzone che non sapeva d’avere dentro.
Lucio D'Auria
La scheda
Regia: Davy Chou
Interpreti: Ji-Min Park, Kwang-rok Oh, Guka Han
Fra/Cam 2002, 1 h e 57'
Genere: Dramnatico
Dove: D'Azeglio
Giudizio: 4 su 5