ECONOMIA
Export post Covid, le nuove coordinate del business
Lo choc del 2020 ha portato a una riorganizzazione di alcune filiere
L’export italiano è tornato sul sentiero della crescita interrotto dalla pandemia, in un contesto in cui, tuttavia, occorre avere ben chiari i cambiamenti in corso e le coordinate delle nuove opportunità. Il 2021 si è dimostrato, come era previsto, un anno di transizione caratterizzato da un forte rimbalzo dell’economia mondiale, dopo la profonda recessione registrata lo scorso anno, grazie in particolare alle vaccinazione contro il Covid e alla progressiva rimozione delle misure restrittive. Rimangono, tuttavia, potenziali divergenze con diversi Paesi che dovranno attendere almeno il 2022 per un pieno recupero del Pil. Secondo un'indagine di Ice-Prometeia, la ripresa della domanda, attesa in molti mercati già per il 2021, non si tradurrà in ogni caso in un ritorno al passato in senso stretto. La crisi del 2020 - l’anno si è chiuso con una caduta degli scambi mondiali poco superiore al 7% su base annua - porta con sé una modifica dei settori competitivi che favoriscono il successo delle imprese sui mercati internazionali. Lo choc ha evidenziato una riorganizzazione di alcune filiere dovuta all'emergenza. Più che i settori in sé, saranno dunque premiate le strategie di quanti faranno propri gli stimoli verso digitalizzazione, ambiente e salute che guideranno politiche industriali, modelli di produzione e consumo nell’epoca post Covid-19.
Ma che cosa ha portato in eredità questa emergenza sanitaria? Innanzitutto è chiaro il fatto che esportare comporti un adattamento a quelli che sono i grandi cambiamenti internazionali ed è inevitabile che le aziende che sono riuscite ad applicare gli strumenti del digitale in modo più efficace, abbiano avuto meno ripercussioni a livello di export. La pandemia ha accelerato la via verso l'innovazione delle imprese e questa evoluzione non tarderà a dare i suoi frutti. Avere una visione orientata al futuro significa vedere l’internazionalizzazione come un processo che si andrà a concretizzare nel lungo periodo, pianificando le strategie, intensificando i legami commerciali, sfruttando le opportunità offerte dai nuovi strumenti a supporto del business. Del resto, puntare all'export è fondamentale, soprattutto dopo il rallentamento dell’economia nazionale causato dall’emergenza Covid, che sta portando le aziende a rivolgersi a mercati esteri per trovare nuovi clienti e partner affidabili. Una cosa è certa: la domanda di beni e prodotti italiani nel mercato mondiale sta crescendo e occorre essere in grado di intercettare questa domanda, dotandosi delle capacità per farlo.
Attualmente, sono circa 200-210mila le nostre aziende esportatrici: alcune esportano in modo stabile, molte altre in modo casuale. C’è poi una fascia, stimata in circa 70mila piccole aziende, che hanno le capacità e le caratteristiche per diventare esportatrici in maniera continuativa anch'esse: di queste, almeno 20-25mila possano essere portate a essere presenti sul mercato mondiale, nell’arco di due o tre anni. Per molte, la domanda dei mercati esteri andrebbe a bilanciare una difficoltà della domanda interna molto evidente. Per cogliere le opportunità che si creeranno, occorre aumentare le capacità delle piccole imprese di stare sul mercato, attraverso risorse manageriali specifiche e specializzate. E non bisogna dimenticare di puntare sui grandi eventi che portano l’immagine del Made in Italy nel mondo.
Il Paese deve investire anche su questo fronte, concentrando le risorse promozionali su «racconti» e canali di promozione che abbiano un forte effetto moltiplicatore sull’opinione di quegli 800 milioni di nuovi potenziali consumatori che - secondo alcune stime - fra qualche anno probabilmente consumeranno italiano. Le pmi italiane vanno accompagnate e sostenute in questo percorso. Un esempio è il Fondo gestito da Simest, del valore di 1,2 miliardi, che ha ricevuto finora richieste per 800 milioni di euro, per finanziare l'internazionalizzazione delle pmi a tassi vicini allo zero e con un contributo a fondo perduto del 25% (che arriva al 40% per le imprese del Sud). I residui 400 milioni previsti per quest'anno dovranno essere distribuiti entro il 31 dicembre.