Inserto Economia
Il lusso? Non abita più in Russia. Danni in vista
Inevitabile. Il peso della guerra e delle sanzioni incrociate sta colpendo in modo importante tutto il sistema della moda. Secondo gli analisti di Bain&Company i consumatori russi pesano oggi sul mercato mondiale dei beni di lusso per circa il 2-3%, con un’incidenza simile anche sul segmento dei beni di lusso personali (accessori, abbigliamento, hardluxury e beauty). Guardando, in particolare, al mercato italiano, l’export verso la Russia dell’intero comparto produttivo ammontava nel 2021 a 1,4 miliardi, di cui circa la metà l'abbigliamento e il resto gli accessori. A questi andrebbero aggiunti circa 250-300 milioni di acquisti di turisti russi nei retail italiani. Ora tutto si è fermato e, giorno dopo giorno, si allunga la lista dei big del lusso che hanno chiuso, temporaneamente, i loro negozi in Russia.
Chi se ne è andato
Tra chi ha deciso di abbassare la saracinesca delle sue 124 boutique spiccano Lvmh, colosso francese del lusso da 64,2 miliardi di euro di fatturato, guidato da Bernard Arnault (cui fanno capo, tra gli altri Louis Vuitton, Fendi e Dior) e Kering, il gruppo di proprietà di François Pinault che vanta tra i brand di punta griffe come Gucci, Bottega Veneta e Balenciaga. E non è tutto. A optare per la serrata è anche il gruppo svizzero Richemont, che detiene, tra le altre, etichette come Baume & Mercier, Buccellati, Azzedine Alaïa,Van Cleef & Arpels ma anche Cartier ed Hermès e Chanel. Una decisione che segue quella di big del fast fashion come H&M, così come il gruppo Inditex (che ha nel portafoglio Zara, Bershka, Pull&Bear) che ha sospeso tutte le attività dei suoi 502 negozi, oltre all'e-commerce.
L'impatto per l'Italia
L’impatto della guerra non sarà limitato solo al mercato locale russo. Ci sarà una flessione delle vendite anche in quei Paesi che contano (o speravano di tornare a contare con la fine della pandemia) sugli acquisti dei turisti russi, Italia in testa. Prima dell'emergenza Covid, infatti, quella russa era la seconda nazionalità per acquisti tax free, dopo i cinesi che sono attualmente ancora “bloccati” in patria dal travel ban. Secondo le rilevazioni di Global Blue, società leader nel segmento tax free shopping, nel periodo gennaio 2021-febbraio 2022, il volume di acquisti tax free dei russi (molti dei quali con vaccini non riconosciuti dall'Ema e quindi limitati negli spostamenti) in Italia è diminuito rispetto al 2019 , ma lo scontrino medio è salito a 1.215 euro (+78% rispetto al 2019) che nel caso di una città come Venezia è salito addirittura a 2.060 euro. Per i turisti russi la città preferita per fare shopping è senza dubbio Milano (39% degli acquistin tax free), mentre la categoria prediletta è quella del fashion&clothing (87%).
Pmi e distretti, Emilia Romagna in testa
Il mercato russo, da almeno due decenni rappresenta per le piccole e medie imprese italiane del comparto moda e per alcuni distretti (Marche, Umbria, Emilia Romagna e Veneto), oltre il 50% dell’export.
La moda è al secondo posto per quanto riguarda l'export in Russia (17,5% del totale), ma anche quello maggiormente penalizzato dalla crisi di Crimea del 2014, con una perdita di 6,9 miliardi di euro in 8 anni. Se consideriamo la differenza tra le esportazioni annuali della moda nel periodo 2014-2021 e il 2013, le vendite dei prodotti tessili, dell’abbigliamento e della pelle sul mercato russo hanno registrato perdite per 6.870 milioni di euro, circa 859 milioni di euro medi all’anno.
«Abbiamo appena concluso un tavolo di crisi con il Ministero degli esteri - spiega Fabio Pietrella, presidente nazionale Confartigianato Moda e presidente del consorzio Parma Couture -, il nostro settore rappresenta la seconda manifattura del Paese e quindi il governo ha preso subito a cuore la situazione. Russia e Ucraina hanno un'incidenza del 2% nel mercato moda internazionale, ma in realtà la stragrande maggioranza di quel miliardo e 340mila euro che esportiamo in Russia deriva dai fatturati di piccole imprese e rappresenta anche il 40-50% dell'export di queste aziende. Non solo. L'export in Russia incide particolarmente sui distretti focus del made in Italy, ecco perché le regioni più penalizzate sono Marche, Umbria, Veneto ed Emilia Romagna. Cito un esempio. Il distretto delle scarpe del Fermano, alla luce del conflitto in atto, è letteralmente in ginocchio. La scarpa marchigiana è per qualità e design orientata al mercato russo, quindi a decine di aziende viene a mancare anche l'80% del fatturato. La situazione è molto grave, Ho sentito anche Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda, che ha sottolineato come per il settore incida ancor più dell'export in Russia, l'acquisto di fascia alta dei russi nel quadrilatero della moda di Milano e nelle grandi piazze delle vacanze in Italia».
Gli investimenti delle pmi
A febbraio si è svolta la settimana della moda e i maggiori eventi del settore come il Gpm a Mosca dove si sono riscontrati importanti segnali di ripresa del mercato dopo la pandemia. «Anche le nostre aziende di Parma hanno partecipato - sottolinea Pietrella - ricevendo diversi ordini che sarebbe ora in produzione per le consegne dei capi autunno-inverno che solitamente iniziano a luglio. Tante pmi hanno sostenuto investimenti, hanno partecipato alle fiere e sono tornate in Italia con gli ordini pronti ad avviare la produzione ed è iniziato il conflitto che ha bloccato tutto. In Russia il sistema di pagamento funziona così: il 30% viene versato al momento della conferma dell'ordine, una sorta di garanzia da parte dell'interlocutore, e poi il 70% a saldo quando la merce è pronta. Il problema rilevante è che, con la chiusura del sistema Swift , non si possono ricevere pagamenti, e chissà per quanto tempo resterà tutto congelato. Alcuni referenti a Mosca sostengono che la nostra merce, presente nelle boutique, sta andando a ruba perché in molti temono di non trovare più per lungo tempo prodotti made in Italy. I negozi tra poco non avranno più niente e noi non potremo rifornirli senza garanzie sui pagamenti, con un aggravante. Il rublo a febbraio, durante la settimana della moda di Mosca un euro valeva 80 rubli, ora è a quota 150. Tradotto: una maglia che costava 200 euro adesso ne vale 400».
«In occasione della settimana della moda di Milano - prosegue Pietrella - gli operatori italiani hanno fatto pressing sulla Farnesina affinché rendesse possibile l'arrivo di bayers russi vaccinati con lo sputnik, che non è riconosciuto in Europa. Sono arrivati 150 buyers russi, ma per un centinaio ci sono stati problemi di rientro, poiché nel frattempo le carte di credito non funzionavano più, le prenotazioni alberghiere erano finite e i voli erano stati cancellati. Abbiamo lavorato in sinergia per ospitarli un paio di giorni in più, cercando nuovi voli via Istanbul».
Adesso che cosa sta succedendo? «Doveva iniziare ora la produzione, ma non si tratta solo di saltare una stagione, temo che per 4-5 anni non potremo ricominciare a vendere in quelle aree. Con la difficoltà generale di non riuscire ad entrare in altri mercati, la filiera moda è in grave difficoltà, in particolare il distretto delle scarpe. Molti paesi non sono preparati al made in Italy, i competitor sono tanti, è anche una questione di prezzi. I nuovi mercati non si creano dall'oggi al domani: per entrare in Russia ci sono voluti 15 anni. Abbiamo richiesto la convocazione di un tavolo moda nazionale, chiediamo la cassa integrazione straordinaria, per salvaguardare le mani maestre e l'occupazione e crediti d'imposta per non far saltare la filiera. Samo reduci da una pandemia, il caro energia sta mettendo in ginocchio le aziende e permane una grande difficoltà a reperire le materie prime. In Colombia,dove mi trovavo nei giorni scorsi, stanno lavorando sulla pigna, il platano la banana e l'ananas per realizzare nuovi filati».
La manager: «Persa subito marginalità»
«Se prendiamo in considerazione il settore moda, premium e luxury, l'ultima campagna vendite, prima che iniziasse la guerra in Ucraina, stava procedendo bene con buoni trend in particolare per alcuni marchi, grazie agli acquisti dei distributori locali così come i risultati delle aziende moda che hanno società in Russia», premette Barbara de Magistris, retail senior advisor, parmigiana d'adozione, con molti anni di esperienza nella gestione di rete retail di marchi internazionali e gestione di mall ed outlet in Italia e all’estero. «Sono partita da Mosca martedì 23 febbraio, il giorno prima che scoppiasse la guerra e in quelle ore precedenti, non si pensava potesse accadere sul serio, anche a detta di molti moscoviti. Non si percepiva. Le tensioni con l'Ucraina, del resto, erano presenti da anni». Poi l'escalation e per il settore moda sono iniziate le difficoltà. «Innanzitutto per la svalutazione del rublo - spiega de Magistris -. Le merci arrivate a suo tempo, che si trovano ora nei negozi russi, sono state acquistate in euro e rivendute in rubli, è evidente la forte perdita di marginalità. Nel frattempo, tutte le spedizioni sono bloccate e anche in Russia lo stato di guerra è palpabile. Centri commerciali e negozi sono completamente vuoti e molti grandi gruppi internazionali hanno chiuso temporaneamente o in maniera definitiva i loro punti vendita in Russia. Chi rimane aperto ha comunque grandi difficoltà».
Non solo. «La situazione è difficile anche nel nostro Paese - prosegue de Magistris - dove si è di nuovo fermato tutto a un passo dalla ripresa. Sono due anni che non si vedono clienti cinesi, i russi e ucraini iniziavano a tornare e ora un nuovo stop. Tra Italia e Russia esistono relazioni commerciali forti, in Emilia Romagna, in particolare, ci sono tanti operatori del settore molto affermati a Mosca. A questo punto il problema è anche la prospettiva futura assai diversa rispetto alla pandemia. Ci vorrà, infatti, molto tempo per riavviare gli scambi e l'impatto sarà notevole. Le aziende erano già provate da un periodo in cui hanno dovuto investire e reinventarsi. E' vero, l'emergenza Covid ha incrementato l'attività online, ma ora, con i blocchi, non ci si può affidare neppure al canale digitale».
Patrizia Ginepri