Economia circolare

Riuso o riciclo? La guerra degli imballaggi

Patrizia Ginepri

Tutto ruota attorno a due concetti green: riuso e riciclo. Tra questi percorsi sostenibili c'è una differenza sostanziale e ora l'Europa si è definitivamente schierata favorendo il primo rispetto al secondo, suscitando una vasta eco e mobilitando un ampio fronte di protesta contro la recente proposta di Regolamento della Commissione Ue sugli imballaggi. “La norma rovina il nostro comparto del recupero, il primo in Europa” mettono subito in chiaro le aziende italiane del settore.

Nel 2021, in base agli ultimi dati disponibili, l’economia circolare degli imballaggi ha recuperato in Italia il 73,3% della materia immessa sul mercato: 10 milioni e 550mila tonnellate, superando con ampio anticipo l’obiettivo del 65% di riciclo totale degli imballaggi previsto dalle normative europee entro il 2025. Il nuovo pacchetto di misure Ue sugli imballaggi, già applicato in 13 Paesi su 27, ha come obiettivo principale quello di ridurre i rifiuti da imballaggio del 15% entro il 2040 rispetto al 2018, partendo da un taglio del 5% entro il 2030. L’idea è quella di non aumentare il riciclo, ma ridurre a monte il volume dei rifiuti da imballaggio. Il motivo è semplice: in media ogni cittadino europeo genera quasi 180 chili di rifiuti da imballaggio all’anno sotto forma di bottigliette di plastica, lattine di alluminio, contenitori monouso per il cibo d’asporto, flaconi e così via. Se il loro utilizzo continuerà con i trend attuali, entro il 2030 ci sarà un aumento del 19% di questa tipologia di rifiuti, con punte del 46% per quelli in plastica. Il nuovo regolamento, inoltre, prevede l’introduzione obbligatoria in tutta l’Unione, a partire dal primo gennaio 2029, di un deposito cauzionale per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari fino a tre litri, fatta eccezione per i contenitori di latte e derivati, vino e alcolici.

Il modello Ue danneggia l'Italia

Il contrasto vero è sul merito. La proposta Ue, sostenuta dal vicepresidente Frans Timmermans, sposa il modello tedesco del riuso degli imballaggi e del vuoto a rendere, mentre l'Italia, da anni, ha puntato sul riciclo degli imballaggi monouso, tanto da diventare leader europea. Il tasso di riciclo dei rifiuti risulta oltre 20 punti sopra quello Ue. E poi c'è un settore, la salute, che crea valore aggiunto per oltre 10 miliardi e dà lavoro a oltre 200 mila persone. Confindustria sostiene che il riutilizzo degli imballaggi riduca il livello di igiene degli alimenti, faccia consumare più acqua ed energia per il lavaggio e porti a maggiori sprechi di alimenti. Puntare sul riuso degli imballaggi col sistema di deposito cauzionale (Drs), per l'associazione rischia di "vanificare gli sforzi e gli investimenti compiuti dai settori industriali e dai Paesi più virtuosi che hanno condotto ad oggi al raggiungimento e al superamento degli obiettivi europei di riciclo degli imballaggi".

Secondo Confindustria, intervenuta in audizione, nei giorni scorsi, alle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, oltre agli aspetti pratici, si rimarca anche l’impronta fondamentalmente dirigista e basata su una sorta di “modello unico”, invariabilmente nordeuropeo, che penalizza in particolare quei paesi come l’Italia che invece nel tempo hanno conquistato una solida posizione nell’industria del riciclo.

Le nuove regole, infatti, andrebbero a scardinare un modello di economia che ha raggiunto livelli invidiabili di efficienza, costringendoci ad abbandonare sistemi rodati di raccolta differenziata e recupero di materia per sostituirli con sistemi di vuoto a rendere, dispenser di prodotti sfusi e altre soluzioni tutte da inventare. Ma le conseguenze non sarebbero meno gravose per i cittadini, cui si chiede di dedicare un tempo imprecisato a lavare e tenere in casa imballaggi usati, restituire bottiglie vuote, girare carichi di contenitori ogni volta che escono a fare la spesa, rinunciare a tutte le comodità che l’imballaggio consente.

A chi immette sul mercato i prodotti imballati si richiede poi la messa in opera di una complessa rendicontazione e un apparato di controllo rigidissimo, con tenuta di registri per dare conto della quantità di prodotto erogato (per esempio, gli ettolitri di caffè somministrati da un bar in un anno, o il vino venduto da un’enoteca, e quanto ne è stato venduto utilizzando involucri riutilizzabili, tenendo conto di quante volte ciascun contenitore verrà effettivamente riutilizzato).

Tempi, costi e oneri

L’obbligo grava infatti su ciascun esercente (con la sola esenzione delle microaziende e dei punti vendita di superficie inferiore ai 100 mq). Ne deriva non solo l’esigenza di un sistema centralizzato di controllo, ma anche quella di standardizzare i recipienti utilizzati, andando a normare forma e dimensione di bottiglie, vasetti di yogurt, cassette per la frutta e mille altre cose. La proposta, in sostanza, non analizza tempi, costi e oneri che sarebbero imposti a cittadini e imprese per effetto di un modello unico di gestione dei rifiuti di imballaggi che non lascia alcun margine di adattamento agli Stati membri e non tiene conto di 30 anni di azioni, politiche e investimenti realizzati in linea con le direttive europee. Alcuni numeri evidenziano che il sistema monouso si è dimostrato più rispettoso dell'ambiente in diverse categorie: cambiamenti climatici, formazione di particolato fine, esaurimento di fonti fossili, consumo di acqua dolce e acidificazione del suolo.

«Costerebbe 10 volte di più del sistema attuale, non garantirebbe le “materie prime seconde” alle imprese e richiederebbe un percorso di rieducazione dei cittadini», rincara il presidente uscente del Conai, Luca Ruini, mentre per Unionplast «il nuovo regolamento sugli imballaggi rischia di vanificare i risultati italiani nel riciclo della plastica». Al coro di proteste si unisce anche il gruppo IV gamma di Unione Italiana Food. «È fondamentale - si legge in una nota - che il Regolamento sia scritto in modo chiaro e inequivocabile per evitare che possa essere interpretato in modo differente da Paese a Paese e applicato in maniera inutilmente restrittiva in alcuni di questi, andando a penalizzare un determinato settore. Sarebbe, infatti, grave se il Regolamento permettesse l’eliminazione indiscriminata degli imballaggi monouso al di sotto di 1,5 kg senza una giustificazione derivante da una solida base scientifica».
La IV gamma in Italia ha chiuso il 2022 con un valore complessivo di 982 milioni di euro (fonte: Nielsen), impiega circa 30mila persone ed entra regolarmente nel carrello di ben 20 milioni di famiglie. Tali numeri denotano il successo di una categoria di prodotti che risponde alle moderne esigenze nutrizionali, favorendo enormemente le occasioni e lo stimolo al consumo di frutta e verdura fresche, mettendole facilmente e rapidamente a disposizione dei consumatori. In questo settore il packaging è fondamentale, perché contribuisce a garantire la sicurezza igienico-sanitaria e la qualità organolettica degli alimenti, a preservarne i valori nutrizionali e a prolungarne la conservazione. Inoltre, l’imballaggio facilita le operazioni di trasporto, garantendo l’integrità dei prodotti e favorendo, al tempo stesso, una corretta comunicazione nei confronti del consumatore. Infine, gli imballaggi riducono gli sprechi alimentari e assicurano un importante risparmio di risorse a monte, contribuendo anche a mitigare il livello di emissioni di CO2 correlate.

Il caso bioplastica

Tra le criticità del provvedimento sono presenti anche divieti di produzione per diverse tipologie di imballaggi monouso e una serie di discriminazioni tra materiali che, oltre ad essere ambientalmente non sostenibili, comporterebbe anche gravi ricadute sull’export.
«La proposta della Commissione ha un atteggiamento pregiudizievole anche per le bioplastiche compostabili - rimarca Confindustria in audizione - finendo per penalizzarle anziché valorizzarle, vietandone molte applicazioni. Anche in questo caso, le restrizioni imposte non sono giustificate da alcuna valutazione di impatto e non tengono conto né delle proprietà dei materiali, né dell’efficacia dei sistemi di riciclo già consolidati».

A fare il punto sullo stato del settore è Corepla, il consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, che in occasione dei suoi 25 anni di attività traccia un quadro molto positivo del nostro Paese, capace ormai di superare ogni anno 1.050.000 tonnellate di materiale avviato al riciclo. Un risultato, questo, frutto di una rete capillare che può contare attualmente su 31 impianti di selezione e 92 impianti di riciclo sul territorio nazionale. Contestualmente si registra un aumento anche nella copertura dei Comuni: dal 77% del 2002 al 99% di oggi. E' raddoppiato, infine, anche il numero di imprese consorziate della filiera del packaging in plastica, ovvero produttori di materia prima, produttori di imballaggi, utilizzatori che auto producono i propri imballaggi e riciclatori, passato da 1.216 a 2.480.