Emergenza Confagricoltura

«Peste suina africana, ora provvedimenti efficaci»

«La Peste suina africana (Psa) è un problema di tutti. Non può essere sottovalutata e derubricata a criticità solo del mondo agricolo e della trasformazione. Per questo servono azioni decise, come l’impiego dell’esercito per il depopolamento dei cinghiali, per difendere un settore portante dell’agroalimentare italiano come quello suinicolo». Questa la presa di posizione di Confagricoltura Parma all’indomani dell’incontro con il commissario straordinario della Psa Vincenzo Caputo tenutosi a Pavia alla presenza degli allevatori di tutto il Nord Italia; del presidente della federazione nazionale di prodotto di Confagricoltura Rudy Milani; della componente di giunta nazionale Giovanna Parmigiani con una delegazione di Confagricoltura Parma guidata dal direttore Eugenio Zedda.

«In questa fase - spiega Confagricoltura - tra i rischi maggiori, oltre a quello della sicurezza sanitaria, c’è quello della speculazione sui prezzi attuata tramite pratiche commerciali sleali che aggiungono al danno del rischio sanitario anche la beffa di un’ulteriore perdita economica per il deprezzamento di carne senza problemi. Può succedere, infatti, che nelle zone di restrizione 1 e 2 le carni sicure e certificate, da suini sani, siano pagate meno della metà del loro reale valore semplicemente per il fatto che sono prodotte in zone oggetto di attenzione. Questo, anche alla luce degli importanti investimenti di cui si sono fatte carico le aziende agricole per perseguire la biosicurezza, non può accadere ed è altamente scorretto. Per questo apprezziamo l’intenzione, espressa dal commissario, di costituirsi parte civile se si dimostra che carni pagate meno della metà ai produttori sono poi rivendute a prezzo pieno ai consumatori». La Psa non è infettiva per l’uomo.

«Tuttavia proprio questo aspetto - analizza Confagricoltura - paradossalmente ha rappresentato un limite nell’adozione di misure efficaci e risolutive da parte delle istituzioni preposte, non essendovi un pericolo diretto per l’uomo, ma solo per i capi allevati. Ora però non si può più aspettare e per questo, come annunciato dal commissario, è necessario procedere con l’eradicazione dei cinghiali selvatici, uno dei principali vettori della malattia, nei distretti suinicoli. Tuttavia anche ammettendo di riuscire ad avere zero cinghiali nel distretto, gli impatti che già oggi stiamo avendo sulla filiera per una malattia che è sostanzialmente esterna alle nostre porcilaie, rischiano di far sì che prima di arrivare a zero cinghiali si arrivi a zero maiali». Un pericolo ben chiaro al commissario che ha dichiarato: «Attenzione a chi vuole speculare sulla pelle degli allevatori, perché i loro suini sono il primo tassello del brand dei salumi italiani che vale milioni di euro di export. Se muoiono gli allevatori muore anche la trasformazione».

Il malcontento tra gli allevatori è elevato. «Ci siamo sentiti abbandonati dalle istituzioni che non hanno attuato, in maniera tempestiva, i provvedimenti necessari» è stato detto nel corso dell’incontro con Caputo. Un altro limite è dovuto al fatto che si è agito a «diverse» velocità: «Ci sono zone, come il Cuneese e il Pavese, dove le azioni di depopolamento hanno fermato l’avanzare della malattia e altre, come l’Emilia-Romagna, dove sino ad oggi si è stati meno tempestivi». Ci sono, infine, da tenere in considerazione numerosi danni collaterali come quelli alla filiera del Parmigiano-Reggiano (destinazione del siero e allevamenti suini annessi ai caseifici) ed il rischio del blocco di tutta una serie di attività all’aria aperta (agriturismi, sagre, raccolta funghi, trekking, uscite in mountain bike) per evitare la diffusione dei contagi che potrebbe mettere in ginocchio intere aree attrattive dal punto di vista turistico.