Epoca di cambiamento? No, un cambio di epoca

Alessio Malcevschi

Cos’è la sostenibilità? Sembrerebbe una domanda a cui è facile rispondere. Questo termine è diventato negli ultimi tempi virale, è la parola chiave alla base del Green Deal di Ursula von der Leyen e di Expo 2022 di Dubai che si apre in questi giorni, il segretario della Nazioni Unite Guterres ne è uno dei più fieri sostenitori, era il tema del World Economic Forum di Davos dove economisti, capi di governo, premi Nobel hanno discusso su come ridisegnare la ripartenza del dopo Covid. A livello quotidiano, se si fa caso, in televisione non passa spot in cui non si cerchi di vendere un tonno sostenibile, una macchina sostenibile, un biscotto sostenibile. Parrebbe quindi che il significato sia chiaro a tutti, ma è veramente così? Ho qualche dubbio a causa della complessità dell’idea stessa di sostenibilità. La ragione per cui il concetto di sostenibilità non è immediato è che è un termine scivoloso, una parola iceberg nel senso che la vulgata corrente ne rivela solo una parte, la parte emersa dai riflessi verdi, mentre la sua anima profonda è un vero e proprio arcobaleno di colori, di concetti, di saperi  che vanno ben al di là del solo tema ambientale ma contaminano tra loro i campi dell’economia, della politica, dell’amministrazione, del diritto.
È un concetto sistemico in cui si fondono diversi livelli di conoscenza e che dovrebbe costringerci a riflettere che nel nostro mondo globalizzato, e lo sarà ancora di più nei tempi a venire, la realtà è, e sarà, sempre più interconnessa e complessa. Per potere costruire un presente per noi e un futuro per i nostri figli occorre cambiare adesso il nostro modo di pensare a partire dalla constatazione che nessuno è un’isola, neanche se vive in Inghilterra. Da qui l’importanza del recente monito di Mario Draghi alle Nazioni Unite quando ha ricordato che «dobbiamo agire ora, per tutelare il pianeta, la nostra economia e le generazioni future. In qualità di Presidenza del G20 e partner del Regno Unito nella Cop26, l’Italia intende raggiungere obiettivi ambiziosi sui tre pilastri dell'Accordo di Parigi: mitigazione, adattamento e finanza». 


Purtroppo molti sono ancora affetti da una sorta di ottimismo o pessimismo cronici per cui le logiche politiche, imprenditoriali ma anche sociali non cambieranno dopo l’uscita dalla emergenza. La globalizzazione presenterà anche domani le sue glorie, o i suoi danni, governata dalle leggi di mercato in cui tutto gira sempre e comunque attorno alla logica del profitto. Così dicendo non si comprende che la pandemia ha mostrato tutta la debolezza di un modello di sviluppo non solo economicamente ma anche culturalmente insostenibile. È bastato colpire la rete in un hub particolarmente sensibile per l’architettura generale, la Cina in questo caso, che si è creato un effetto farfalla, lo scatenarsi dell’inatteso:  il battito di ali di un pipistrello ha causato un tornado a Wall Street con tute le sue conseguenze. Non sarà il «business as usual» a salvarci: quello che occorre è una risposta razionale che non è sinonimo di ragionevole. Occorre un nuovo modo di pensare, studiare, lavorare, fare cultura che rifletta la complessità del mondo in cui viviamo e che inevitabilmente aumenterà. Non occorrono opinioni di individui, occorrono competenze di persone preparate, a partire dagli scienziati disposti a superare la frammentazione dei saperi, la separazione della scienza dalla coscienza. Da dove partire? Occorre un progetto, una nuova utopia sostenibile come dice Enrico Giovannini, un piano di resilienza trasformativa che parta dalla constatazione dei rischi che corriamo se perseveriamo nell’’idea di Natura considerata solo come fonte inesauribile di risorse da utilizzare, trasformare, vendere senza tener conto dell’impatto sull’ambiente e sulla salute delle persone. Il Covid 19 è uno spartiacque, sta a noi a partire dal mondo universitario, sostenere lo sviluppo sostenibile e decidere quanto in fretta creare un nuovo modello di rigenerazione e solidarietà, basato sulla educazione, cura, la parità di genere e la relazione, capace di rafforzare le nostre comunità. Tutti obiettivi presenti nella Agenda 2030 delle Nazioni Unite che sarà la protagonista del quinto Festival dello Sviluppo Sostenibile AsviS di Parma che si terrà nei prossimi giorni. La parola d’ordine della edizione passata era “E’ ora di agire” quest’anno è “Stiamo agendo”. Il plurale è d’obbligo, e non potrebbe essere altrimenti, perché solamente insieme si potrà non solo uscire dalla crisi della pandemia ma rilanciare il nostro Paese verso un modello di sviluppo sostenibile. Le risorse ci sono a partire da quelle messe a disposizione dal Next generation EU e dal PNRR, quello che occorre è un’azione comune in cui l’Università, le istituzioni, il mondo dell’impresa e del lavoro, i cittadini non perseguano progetti separati e talvolta persino in competizione tra loro a livello locale ma imparino a collaborare insieme. Saremo allora razionali ma anche umani e modificheremo questo sistema disumano o saremo solamente ragionevoli? Se così accadrà allora tutto sarà come prima e avremo perduto l’occasione, forse l’ultima, di poter respirare l’aria di un altro pianeta, il nostro. Ma io credo di no perché l’uomo ha bisogno di speranze, di storie. L’agenda 2030 è una bella storia. E’ un modo intelligente per raccontare al mondo che un altro mondo è possibile. Basta che non sia una Smemoranda 2030.