La disperazione di quelle mamme pesa sul cuore di ognuno di noi
Orrore. Pur se intossicati dal continuo trangugiare immagini di violenza, fino al punto di ridurre inconsciamente tutto l’orrore assunto da spettatori a una normale nevrosi social-televisiva quotidiana, famelica di emozioni forti da mattina a sera, ora le nuove fotografie e i filmati che arrivano dalla Kabul assediata dai talebani scatenano un’indignazione sempre più profonda.
Si dice così, ogni volta che ci si trova davanti a tragedie immense: ma adesso nelle cronache di questa ennesima discesa agli inferi c’è qualcosa che ferisce mortalmente l’animo, che insinua e conferma in noi la disperata certezza che l’uomo non saprà mai rinunciare a commettere il male in nome del bene, stabilito dall’unico Dio di una religione che diventa assassina.
Oltre il terribile campionario di atrocità sanguinarie, sciorinato come naturale prassi registica prodiga di sgozzamenti e decapitazioni, questa volta è un gesto, o, meglio l’immagine di un gesto che in una manciata di secondi eternizzati su Internet dal replay, ci racconta una sofferenza inaudita, una disperazione dell’essere che non potrà mai trovare nemmeno un briciolo di conforto.
Perché si tratta di un dolore ancestrale, ontologico, più devastante di quello suscitato dalla morte, anche violenta, di persone innocenti: che è uno strazio sul quale il tempo passerà una patina lenitrice per i superstiti parenti e amici. C’era e c‘è una vita che ci è stata data, della quale non conosciamo la misura che ci separa dal finale. Detto in soldoni: sai che dal momento del primo vagito sei esposto al rischio di non risvegliarti più la mattina dopo. Certo, se si tratta di giovani o bambini, il rammarico è assai più profondo, il patire sembra e, per certi versi, è inconsolabile. Tutto questo ha una logica ferrea, la nostra è una comparsata prima o poi transeunte.
Ma il gesto terribilmente raziocinante e disperato delle madri di Kabul da ieri pesa come un macigno sul cuore di ognuno di noi: è un colpo durissimo, un’immagine incancellabile. Formata una montagna umana sul muro dell’aeroporto di Kabul, ecco le madri di Kabul in azione con scatti saettanti che hanno l’innaturale rapidità della disperazione: sfiorando il filo di ferro divisorio da trincea, porgono fagottini dai quali escono singhiozzi di neonati, o allungano ai soldati americani bambini aggrappati per l’ultima volta alla mano materna, staccata dalla quale il fagottino piangente e il bambino atterrito prenderanno le strade che Dio vorrà: spesso senza poter rivedere mai più la donna che l’ha messo al mondo.
Perché quello compiuto con eroico coraggio, sarà spesso l’ultimo immenso gesto d’amore muliebre di ‘nemiche’’ finite sulle liste nere dei talebani- nome che significa ‘’insegnanti coranici’’- decisi a imporre una teocrazia regolata dal Corano e dalla Sunna: dottrina e orientamenti dettati da Maometto, sulla base dei quali i feroci docenti di Allah intendono far soggiacere la donna a crudelissime regole di comportamento indicate dalla Sharia, la quale prevede persino la condanna alla pena di morte, per lapidazione, della donna colpevole di tradire il marito.
I ministri di questa sedicente teocrazia sono già al lavoro: hanno arrestato decine di donne impegnate nella battaglia per i diritti civili, ora di nuovo a rischio con la vittoria dei talebani: i portavoce dei quali si affannano ad assicurare rispetto e massima libertà. Nei cinque anni di governo dal 1996 al 2001 gli ‘’insegnanti coranici’’ avevano inteso la libertà di parola come una categoria da interpretare a proprio piacimento.
Sicché l’avevano capovolta in un senso ostativo: la libertà di parola comincia con l’obbligo al silenzio. Vent’anni dopo l’11 settembre delle Torri Gemelle e una guerra costata agli Stati Uniti 2 mila miliardi e 2700 soldati morti ( all’Italia 10 miliardi e 52 morti) ritrovarsi sconfitti dai talebani non depone certo a favore di chi questa guerra l’ha condotta e persa.