Sei quesiti rimettono in moto la politica
In questi giorni è entrato in scena l’imprevisto, cioè il referendum radicali-Salvini con sei quesiti dirompenti:
1) elezioni al Consiglio superiore della magistratura: viene chiesta l’eliminazione della raccolta firme per i magistrati che vogliono candidarsi a Palazzo dei Marescialli. Così facendo, secondo i promotori, si permetterebbe a tutti i magistrati di candidarsi senza il rischio del condizionamento delle correnti;
2) responsabilità diretta dei magistrati: secondo Lega e Radicali, infatti, al momento non esiste un “adeguato obbligo di rendere conto delle eventuali decisioni sbagliate assunte”;
3) si chiede di considerare anche i componenti non togati dei collegi giudiziari (come avvocati e professori) nelle valutazioni sulla professionalità dei magistrati;
4) separazione delle carriere dei magistrati: l’obiettivo è quello di ottenere una netta e definitiva divisione tra la figura del pubblico ministero e quella del giudice;
5) introduzione di un limite alla custodia cautelare: secondo i promotori il carcere preventivo è diventato “una forma anticipatoria della pena con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza”;
6) abolizione di una parte della legge Severino, quella che prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità per le cariche di parlamentare, consigliere e presidente di Regione, sindaco e amministratore locale, in caso di condanna per alcuni reati non particolarmente gravi, in modo da eliminare lo squilibrio insito nella normativa attuale.
Le questioni poste sono di facile apprezzamento per l’opinione pubblica, mai come ora lontana da una ferrea solidarietà con le magistrature, anzi molto critica e delusa.
Questo referendum potrebbe essere l’occasione da lungo attesa dai garantisti colpiti dalla mancata attuazione della volontà popolare espressasi in analoghi referendum degli anni ’80 nei quali, tra l’altro, era stata teoricamente abolita la mancanza di responsabilità civile dei magistrati.
La consultazione può diventare la cartina di tornasole intorno alla quale si rimescoleranno gli schieramenti nazionali. Non a caso Goffredo Bettini, la testa più politica, strategica e tattica, del Pd dichiara attenzione al referendum e apre a una discussione sui suoi quesiti.
Dall’altro lato, un Matteo Salvini ben più cauto che in passato sostiene esplicitamente il governo Draghi e punta a una riverniciatura moderata mediante un accordo politico con Silvio Berlusconi. E se i parlamentari di Forza Italia si ribellano questo non significa fine del discorso, ma, in sostanza, negoziazione del futuro, cioè delle rielezioni.
Giuseppe Conte nelle solite vesti di leader in pectore dei 5Stelle deve fare i conti con la realtà: il referendum aggraverà - se e quando sarà indetto - l’isolamento giustizialista dei grillini e, fatalmente, aprirà varchi inattesi con il Pd. Anche se ha dichiarato che il governo ha adottato decisioni sorprendenti, Conte non ha molti spazi innanzi a sé. Non può allontanarsi dalla maggioranza, pena l’isolamento e ulteriori perdite di consensi. Ma non potrà abbracciare il campo garantista. Dovrà giocare d’equilibrio su tre tavoli: il partito, il Pd e la maggioranza. Da buon neodemocristiano potrebbe farcela.
Insomma, a parte tutto ciò che riguarda l’azione di governo che prosegue a spron battuto, macinando provvedimenti e iniziative volti tutti a mettere il Paese sulla strada della ripresa e del rilancio, mediante l’attuazione del PNRR e misure di riforma, la politica sembra essersi rimessa in moto: in vista del semestre bianco; in vista dell’elezione del presidente della Repubblica; in vista di un appuntamento elettorale che non è lontano.
L’aver depositato i quesiti referendari presso la Cassazione è un buon innesco per una nuova fase politica.
Le incognite sono tante, di sicuro troppe. L’unica certezza è che per ora e almeno sino all’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, Mario Draghi sarà a Palazzo Chigi e dirigerà le operazioni.