La lezione dell'Hiv nella lotta al virus Sars-CoV-2

Franco Lori

Celebrare la Giornata mondiale dell’Aids nel mezzo della pandemia da Covid-19 stimola molte riflessioni. Se alla fine del secolo scorso, quando ormai era chiaro che la lotta all’Aids stava prendendo la giusta direzione e avrebbe permesso di andare verso un controllo della malattia, mi si fosse chiesto quale fosse il peggior incubo che un infettivologo potesse avere, avrei certamente risposto: una infezione respiratoria ad alto livello di contagio e con una mortalità elevata, se non altro in una parte della popolazione. 
 

Celebrare la Giornata mondiale dell’Aids nel mezzo della pandemia da Covid-19 stimola molte riflessioni. Se alla fine del secolo scorso, quando ormai era chiaro che la lotta all’Aids stava prendendo la giusta direzione e avrebbe permesso di andare verso un controllo della malattia, mi fosse stato chiesto quale fosse il peggior incubo che un infettivologo potesse avere, avrei certamente risposto: una infezione respiratoria ad alto livello di contagio e con una mortalità elevata, se non altro in una parte della popolazione. 
Questo incubo è diventato realtà. E allora il mondo della ricerca e della clinica ha iniziato a muoversi ad una velocità mai vista fino ad ora. Il primo farmaco anti Sars-CoV-2 (il virus responsabile del Covid-19) è stato autorizzato pochi mesi dopo l’inizio della epidemia, quando a noi erano occorsi anni per approvare il primo farmaco anti Hiv (il virus responsabile dell’Aids). Il primo vaccino anti Sars-CoV-2 sarà probabilmente approvato in Usa e in Europa entro un anno dalla data in cui sono stati annunciati i primi casi di Covid-19 e avrà una efficacia di oltre il 90% (Cina e Russia hanno già approvato i loro primi vaccini, in base ad un numero più ridotto di sperimentazioni). A noi era stato necessario oltre un decennio per scoprire che il primo vaccino anti HIV non funzionava, e in realtà non ne abbiamo mai avuto uno. 
Dove sta la differenza?
• In primo luogo la risposta internazionale alla Pandemia Covid-19 non ha precedenti nella storia della Medicina per intensità e qualità di risorse messe in campo.
• Il virus Sars-CoV-2 non si integra nel Dna dell’uomo, come invece fa l’Hiv. Questo rende il virus Sars-CoV-2  più vulnerabile rispetto all’Hiv che ha invece fino ad ora resistito a tutti i tentativi di “estirpazione”. L’Hiv rimane perciò nelle nostre cellule per tutta la vita, il che ci costringe ad assumere i farmaci antivirali ogni giorno. In questo modo però  siamo riusciti a  trasformare l’Aids da una sindrome che uccideva entro 8-12 anni dall’infezione in una malattia cronica con cui convivere previo trattamento giornaliero, come succede per il diabete, l’ipertensione, eccetera.
• Il virus Sars-CoV-2 non muta con la stessa rapidità con cui muta il virus Hiv. Questo lo rende più attaccabile da farmaci e vaccini.
Pur nel rispetto di fondamentali differenze fra i due virus penso che abbiamo imparato dalla lezione del virus Hiv e della pandemia Aids molte lezioni che potrebbero servirci nella gestione della emergenza attuale.
1. La prevenzione è fondamentale. Nel caso dell’Hiv/Aids, a trasmissione prevalentemente sessuale, essa si esercita con l’attenzione, l’uso del preservativo, la limitazione dei rapporti all’interno del nucleo familiare o affettivo delle singole coppie. Nel caso dell’Italia, in cui il virus Hiv si era diffuso principalmente fra i tossicodipendenti è stata fondamentale una campagna di informazione per evitare scambi di siringhe, le stesse venivano fornite gratuitamente, i media erano martellanti nella diffusione del messaggio «Aids: se lo conosci lo eviti». 
Il virus Sars-CoV-2 si trasmette principalmente per via respiratoria (in misura minore per via gastroenterica), perciò la prevenzione si esercita attraverso l’uso della mascherina, il lavaggio delle mani, il distanziamento sociale. Le modalità sono diverse, ma la prevenzione continua a fare la differenza, e una differenza enorme.
2. I farmaci possono cambiare le cose. Quelli a disposizione contro l’Hiv sono circa una ventina, suddivisi in famiglie diverse, cioè con un diverso meccanismo d’azione antivirale. Sono stati tutti disegnati appositamente contro il virus Hiv, sono generalmente potenti, e tuttavia fino ad oggi sono stati usati principalmente in combinazione (i famosi “cocktail” di farmaci), in quanto se usati singolarmente sono scarsamente efficaci o perdono rapidamente efficacia, perché il virus impara ad evadere il controllo farmacologico e diventa resistente. Lo stesso è avvenuto con altri virus, ad esempio il virus dell’Epatite C. Nel caso del Sars-CoV-2 non abbiamo tempo di disegnare farmaci specifici contro il virus. Occorrerebbero anni per svilupparli. Dobbiamo “andare in prestito” da farmaci già in uso (o sperimentati in misura sufficiente) contro altre patologie. Il Remdesivir, per esempio, era già stato usato contro il virus dell’Ebola. Nessuno di questi farmaci ha una alta potenza contro il virus, un motivo ulteriore per studiare le loro combinazioni, strategia che vede il nostro gruppo di ricerca fortemente impegnato.
3. La solidarietà sociale è fondamentale. Nel caso del virus Hiv è stata una battaglia difficilissima. La diffusione della malattia attraverso i tossicodipendenti e gli omosessuali dava alla stessa l’aura di un castigo meritato, prima di renderci conto che in realtà il virus dell’Aids si trasmette in grande prevalenza attraverso i rapporti uomo-donna. La verità è che esiste ancor oggi una grande parte del mondo, quello più povero, che ancora non ha vinto la sua battaglia contro l’Aids. Anche se ce lo siamo dimenticati il virus rimane lì a ricordarcelo.  La solidarietà sociale parte dal rispetto delle altre persone e delle loro diversità. Indossare la mascherina (che copra sia il naso che la bocca!) è anche un atto di rispetto vero l’altro. È come dire: io proteggo me stesso e proteggo anche te perché sei un mio simile, e così proteggo le persone che tu ami come tu proteggi le mie. Perché coloro che abbiamo perso e ancora perderemo siamo noi stessi.


Ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo all'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. (John Donne)