Un nuovo capitalismo europeo dopo il Covid

Franco Mosconi

In quale capitalismo vivremo dopo la pandemia? La domanda può suonare, a seconda dei punti di vista, un po’ naïf o eccessivamente accademica. Alcuni, infatti, potrebbero argomentare che il virus è ancora tra noi, che miete tantissime vittime e che gli stessi vaccini ormai prossimi alla registrazione richiederanno tempo per arrivare, sperabilmente, al 70 per cento della popolazione. Altri, al contrario, potrebbero far notare che, prima di cimentarsi con questa domanda, vi sono questioni più impellenti cui dare risposta, a cominciare dal deterioramento del mercato del lavoro, dalle difficoltà di molti lavoratori autonomi e dall’aumento del numero delle famiglie che vivono in povertà. Sono giuste, credo, tutt’e tre le tesi qui sinteticamente richiamate: le due contro-argomentazioni, ma anche la domanda iniziale. È ciò che rende il nostro tempo il più difficile da molti decenni a questa parte, giacché la nostra società è alle prese con problemi contingenti della massima importanza e, contestualmente, con questioni che plasmeranno il suo futuro. Se, dunque, è sacrosanto occuparsi dei primi (l’emergenza sanitaria e la ripartenza dell’economia), non bisogna commettere l’errore di dimenticarsi delle seconde (il capitalismo che verrà e di cui abbiamo bisogno).
 Ora, sotto quest’ultimo profilo, è possibile intravvedere qualcosa di nuovo oltre l’orizzonte? E’ necessario fare un passo indietro, in particolare agli anni segnati dalla caduta del Muro di Berlino che svelarono l’esistenza, all’interno dell’Occidente, di più “modelli” di capitalismo.
 

Per amore di semplicità, è sufficiente richiamare la contrapposizione - introdotta da Michel Albert - fra «capitalismo renano» e «capitalismo neo-americano», che aveva come elemento discriminante l’ordine finanziario (ossia, le modalità con cui le imprese si finanziano). La Germania con le sue grandi banche miste proprietarie delle imprese industriali e gli Stati Uniti con Wall Street erano gli esempi da manuale. 
Sono poi seguite classificazioni più ampie, che hanno preso in considerazione tutte le istituzioni economico-sociali: il mercato del lavoro, il welfare, le relazioni industriali. Ecco che un «capitalismo di tutti i portatori d’interesse (stakeholder)», sempre di impronta tedesca, si contrapponeva a un «capitalismo degli azionisti (shareholder)» di derivazione anglosassone. Fino ai due ideal-tipi emersi da un’ampia ricerca dell’Università di Harvard sulle «varietà di capitalismo», dove le «economie di mercato coordinate» (Germania e la sua area di influenza) si confrontavano con le «economie di mercato liberali» (Usa e Regno Unito).  E oggi? Valgono ancora queste distinzioni? O è giunto il tempo di costruire un capitalismo autenticamente «europeo»? Già, l’Europa: tradizionalmente attraversata da più modelli, l’Unione europea in questi mesi ha saputo mettere a punto una significativa risposta al Coronavirus. Certo, oggi l’Ue si confronta col veto posto da alcuni Stati membri sovranisti proprio sul Next Generation EU e sul bilancio pluriennale 2021-2027, che nell’insieme – come ricorda la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – valgono 1.800 miliardi di euro. L’occasione è irripetibile perché questi ingenti fondi (209 miliardi di euro su 750 totali all’Italia) dovranno essere indirizzati in tutti gli Stati membri, in primis, verso gli investimenti per condurre in porto la «duplice transizione, ecologica e digitale». 
Ancora, i fondi Sure (oltre 27 miliardi all’Italia di cui dieci già erogati) stanno creando un primo abbozzo di sussidio di disoccupazione a livello europeo. Infine, l’auspicabile utilizzo del Mes potrebbe offrire una dotazione di bilancio per aumentare in maniera significativa (più di 30 miliardi di euro in Italia) le indifferibili spese per il comparto della sanità. 
E così si potrebbe continuare citando le note iniziative di politica monetaria della Banca centrale europea e il supporto offerto alle imprese e agli enti pubblici dalla Banca europea degli investimenti.
Insomma, passo dopo passo, si stanno toccando con iniziative di governo a livello sopranazionale (Bruxelles, Strasburgo, Francoforte, Lussemburgo) molti dei gangli vitali di ciò che si è soliti definire un modello o una varietà di capitalismo. La strada verso un solido modello europeo è ancora lunga e irta di ostacoli sol che si pensi, da un lato, alle crescenti diseguaglianze (acuite in tempo di pandemia) e, dall’altro, al divario che separa l’economia Ue da quella americana in alcune tecnologie chiave (per esempio, tutto il mondo dell’information technology e delle piattaforme digitali). Ma alla domanda posta all’inizio (c’è qualcosa di nuovo oltre l’orizzonte?), penso si possa dare una risposta ragionevolmente positiva. L’orizzonte è oggi sì segnato dalla forza devastante della pandemia, ma a fronte di ciò c’è l’intelligente potenza della scienza. E c’è, in verità, un altro ingrediente: il rinnovato impegno sociale dei giovani, il loro entusiasmo: basti pensare a tutti coloro – economisti, imprenditori e manager under 35 - che si sono ritrovati virtualmente ad Assisi per l’evento The Economy of Francesco. 
È per loro – per le giovani generazioni - che quel qualcosa di nuovo che c’è in Europa non va abbandonato; anzi, va coltivato con competenza, umiltà e pazienza.