Virologi in tv: no a bavagli, sì a informazioni verificate

Ruben Razzante

Sono in molti a ritenere che senza fake news e con un’informazione più equilibrata e responsabile saremmo usciti prima  e meglio dalla pandemia. Non c’è la controprova, quindi occorre sospendere il giudizio di fronte  a opinioni del genere. Sarebbe però un errore archiviare un interrogativo simile come una questione di lana caprina, rinunciando a compiere una riflessione non ipocrita sui flussi informativi dell’ultimo anno e mezzo in materia di Covid.


A dare fuoco alle polveri della polemica è stata,  in settimana, un’iniziativa parlamentare bollata frettolosamente come “bavaglio alla scienza”  e invece da considerare  alla stregua di un tentativo, sia pure goffo e tardivo,  di mettere ordine nel ginepraio di interpretazioni dei singoli aspetti della diffusione del virus in  un contesto mediatico auspicabilmente più sobrio e meno rissoso. Mercoledì alla Camera dei deputati, nell’ambito della discussione sul decreto legge Green pass bis, è stato approvato un ordine  del giorno, prontamente accolto dal Governo, che prova a mettere ordine 
nelle esternazioni dei virologi e dei medici in tv  e sui giornali. A presentarlo Giorgio Trizzino, medico, eletto nel 2018 con  il Movimento 5 Stelle   e passato al Gruppo Misto pochi mesi fa.
Nei dettagli, il testo approvato a Montecitorio impegna il Governo a «valutare l’opportunità di intervenire affinché l’esercente la professione sanitaria dipendente di una struttura pubblica o privata, siano esse convenzionate o accreditate, nonché i dipendenti e i collaboratori, gli organismi ed enti di diretta collaborazione con il ministero della Salute possano fornire informazioni relative alle disposizioni concernenti la gestione dell’emergenza sanitaria in corso, tramite qualunque mezzo di comunicazione, previa esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria». Tutto ciò «al fine di evitare di diffondere notizie o informazioni lesive per il Sistema sanitario nazionale e di conseguenza per la salute dei cittadini».


Da una parte, quindi, c’è in ballo l’autonomia del singolo professionista di una struttura pubblica o privata nell’esporre teorie e interpretazioni dei dati scientifici o nel commentare l’andamento della situazione epidemiologica, indicando altresì possibili azioni preventive e di contrasto della diffusione del virus. Dall’altra c’è il diritto dei cittadini di ricevere un’informazione corretta, veritiera e attendibile su un tema così delicato e cruciale come quello della tutela della salute.
Per garantire la libertà d’espressione degli scienziati salvaguardando nel contempo il valore della comunicazione di pubblica utilità occorre, però, individuare un punto di equilibrio virtuoso, che per lunghi tratti è mancato nella concitata narrazione della pandemia.  


Sarebbe scorretto, quindi, mettere un bavaglio a medici e professori universitari che parlano di come evolve una malattia infettiva come il Covid e si esprimono su fenomeni che impattano direttamente sul benessere psico-fisico delle persone. Potrebbe, però, risultare deleterio per il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente sul Covid affidare in via esclusiva al libero confronto tra le opinioni di virologi, immunologi e infettivologi il compito della divulgazione scientifica, che invece passa sempre e comunque attraverso la mediazione giornalistica.
I giornalisti non sono chiamati a fare da cassa di risonanza passiva e acritica di pur autorevoli punti di vista su una malattia, ma devono applicare con sistematicità e professionalità i nobili principi della deontologia. Spacciare per verità oggettive quelle che sono soltanto legittime opinioni, peraltro in evoluzione, significa abdicare al compito della verifica delle fonti e del vaglio scrupoloso di tutti gli elementi di realtà. In situazioni fluide come l’emergenza pandemica, che ha più volte colto di sorpresa i comuni cittadini ma anche gli stessi scienziati e addetti ai lavori, sospendere il giudizio su notizie non avvalorate da evidenze scientifiche e privilegiare un approccio «agnostico» allo svolgimento dei fatti significa coltivare l’ideale di un’informazione trasparente, neutrale e aperta alla complessità e imprevedibilità della realtà.


La valorizzazione del filone dell’informazione medico-scientifica passa proprio dalla declinazione pratica di tali principi. Meno di un anno fa, in piena seconda ondata del virus, l’Ordine nazionale dei giornalisti integrò il Testo unico dei doveri del giornalista, irrobustendo la parte relativa alla necessità di analisi pacate e documentate sull’andamento della pandemia, al riparo da sensazionalismi, approssimazioni e stucchevoli ridondanze. Allarmi apocalittici e rassicurazioni trionfalistiche hanno minato la credibilità di certa informazione, erodendo il patrimonio di fiducia che il giornalismo professionale aveva meritatamente accumulato durante la prima ondata del Covid, quando raccontò con puntualità l’andamento della pandemia dai luoghi del contagio e della sofferenza. 
Non sono necessari, quindi, nuovi Codici etici né anacronistiche censure. Occorre più che altro rispettare con maturità e senso di responsabilità le regole già esistenti. Anzi, sarà questo il vero banco di prova dell’informazione professionale: diffondere notizie di qualità, maneggiando con cura e con spirito non dogmatico i preziosi contributi degli scienziati. Ne uscirebbe depotenziato il virus dell’infodemia, intesa come circolazione virale di informazioni di dubbia autenticità che alimentano confusione, disinformazione e finiscono per avere effetti diseducativi sulla tutela della salute collettiva.