Conte e il Mes: tra il sì e il no c'è di mezzo il mare. Greco

Domani c’è il Consiglio europeo, per decidere un pezzo importante del futuro dell’Europa. Saranno discusse le proposte avanzate una settimana fa sul come finanziare il recovery fund, e come trattare l’ormai famoso Mes. 
Il nostro premier Conte ha preannunciato un suo no, che potrebbe diventare un veto.
Sarebbe interessante sapere dei colloqui informali in corso di Conte con gli altri capi di governo. Conte vorrebbe dire di sì, ma considerandosi espressione del Movimento 5 stelle, contrario al Mes, Conte deve preannunciare un no. Conte avrà suggerito ai colleghi di cambiargli nome, in modo da poterlo approvare, ma con un nome diverso. Lo stesso di quando il 2,04 venne eguagliato a 2,4, perché lo zero non conta. 
La Lega sostiene il proprio no, con una motivazione tecnica. Dice la Lega: il Mes deve essere ancora finanziato, con un pro quota dai diversi paesi; quindi, perché oggi dovremmo versare i soldi per finanziarlo, per poi riprenderceli indietro sotto forma di prestito? Tanto vale procedere direttamente. Semplice no? Si, ma peccato che sia sbagliato.

I soldi non li abbiamo, quindi per ottenerli, dovremmo andare sul mercato, offrendo un adeguato tasso d’interesse sulla base del nostro (elevato) rischio-paese. Ora se il Mes venisse direttamente finanziato da un’istituzione europea, con la sua tripla A, può raccogliere i fondi a tassi molto più bassi, prossimi allo zero. E potrebbe girarci la nostra quota ad un tasso altrettanto basso. Per l’Italia circa 40 miliardi di euro; ora l’un percento di differenza negli interessi vale 400 milioni. Cosa facciamo, li regaliamo ai fondi d’investimento internazionali? Si può fare, però bisognerebbe spiegarlo con chiarezza.
Anche il ruolo del Mes per il default della Grecia andrebbe sottoposto ad un riesame più distaccato.
La Grecia era arrivata alla crisi del 2008 in condizioni di pieno boom economico e di riduzione della disoccupazione. Ma sostenuta da un’estrema debolezza finanziaria. 
In Grecia gli anni precedenti al 2008 erano stati trainati da un aumento della domanda interna e dalla spesa pubblica (vi sembra nuova la ricetta?). Salari, prezzi e costo unitario del lavoro erano aumentati, con una perdita di competitività. Questo aveva comportato - com’è ovvio - l’aumento del debito privato, pubblico, ed estero.
Non solo, anche la qualità della vita politica e istituzionale nel frattempo si era deteriorata, per «l’improvvisa» scoperta della quantità di debiti accumulati a tutti i livelli, per la conseguente polarizzazione della politica, con la prospettiva concreta di un’insolvenza come anticipato dalle agenzie di rating, conseguente crollo della fiducia e ribaltamento in negativo delle aspettative.
L’intervento dell’Europa e del Fondo monetario è stato pesantissimo, conseguente all’estrema gravità della situazione. Ma, come gli stessi Greci oggi riconoscono, il salvataggio è avvenuto a condizioni molto più favorevoli rispetto ad una soluzione di mercato. Se la Grecia avesse fatto da sola, ci sarebbero state l’azzeramento del debito interno (a carico dei cittadini greci), il default sul debito estero, il probabile fallimento del sistema bancario greco. Infine con l’uscita definitiva della Grecia dall’Unione Europea e il suo scivolamento verso oriente. 
L’Italia è in evidenti condizioni molto diverse rispetto alla Grecia del 2008, e l’esperienza del Mes per la Grecia ha insegnato molto alle istituzioni europee, che peraltro ancor oggi detengono il 70 percento del debito greco.
Forse sarebbe il caso di vedere le cose in modo diverso. Come diceva Churchill, «solo gli stupidi non cambiano mai idea».