Zero crescita in 30 anni: urgono riforme strutturali

Augusto Schianchi

 Lunedì scorso agli Stati generali, la commissione Colao ha presentato oltre un centinaio di idee; di suo il Governo ne ha presentato altre cinquanta. Le idee non mancano. Il problema è che, com’è stato detto, cento idee non fanno un piano. Per avere un piano, ci vuole un obiettivo; per conseguirlo ci vogliono gli strumenti adatti. Sull’obiettivo ci sono pochi dubbi, qualsiasi governo in una moderna democrazia vuole aumentare il benessere dei propri cittadini, nel senso ampio del termine: una buona scuola per i ragazzi, un lavoro soddisfacente per gli adulti, una serena vecchiaia per i più anziani. Naturalmente con la giusta misura, tenendo conto dei mezzi a disposizione (nessun pasto è gratis), con equilibrati compromessi tra le 3 generazioni (nessuno deve essere lasciato indietro).
Negli ultimi 30 anni (dalla crisi economica d’inizio anni ’90, 10 anni prima dell’entrata nell’euro, prima del Covid 19), l’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, non ha raggiunto questo obiettivo di maggior benessere generale. In questi 30 anni, l’Italia ha conseguito risultati significativi in termini di stabilità economica. Ha mantenuto un’inflazione bassa, una moderazione salariale, ha conseguito un surplus primario nel bilancio pubblico (consentendo di mantenere il debito pubblico nei limiti di sostenibilità), ha contenuto il livello della disoccupazione, è aumentata la quota dei profitti delle imprese. 
Ma a partire dal 1990, l’Italia ha iniziato a declinare (in termini di reddito pro-capite). 
Nel 2018 eravamo più poveri del 15% rispetto al 1991; siamo anche arretrati rispetto a Francia e Germania.
Dunque, la relativa stabilità del sistema economico non ha portato la crescita. Perché? Osservando le statistiche è immediato rilevare: 1. Il surplus primario di bilancio si è tradotto in riduzione degli investimenti pubblici (come dimostrato dalle condizioni della nostra sanità di fronte all’emergenza Covid), ma non a riduzioni della spesa corrente. E’ mancato l’effetto moltiplicativo della spesa pubblica per investimenti sulla crescita. 2. La moderazione salariale, efficace per il contenimento dell’inflazione, si è tradotta in stagnazione dei consumi, quindi in debolezza della domanda aggregata, la variabile cruciale per la crescita del PIL. Le esportazioni per fortuna hanno tenuto, nonostante l’erosione della concorrenza cinese su tutti i settori del commercio internazionale. 3. Il terzo motivo per la scarsa crescita è stata la carenza di investimenti privati nel settore delle nuove tecnologie, ciò ha ridotto la competitività del nostro sistema industriale. Con la solita eccezione dei campioni nazionali che, nonostante tutte le avversità interne e internazionali, hanno mantenuto la loro leadership mondiale. In sintesi, sono stati il basso livello degli investimenti e della domanda a spiegare la mancata crescita ed il progressivo ritardo rispetto agli altri paesi. Ne deriva che per cambiare passo nella crescita non sono necessari particolari consulti con gli esperti, basta (si fa per dire) indirizzare una quota maggiore di spesa pubblica verso gli investimenti in infrastrutture, che a loro volta creeranno le condizioni necessarie per nuovi investimenti da parte del settore privato. Il problema non è il “cosa fare”, ma il “come fare”. Tenendo conto che nei prossimi anni avremo a disposizione finanziamenti per gli investimenti, da parte delle istituzioni europee, in quantità mai vista prima. I problemi prioritari per il governo sono quindi come riqualificare la spesa pubblica, con un reindirizzo verso gli investimenti. Una priorità collaterale (per realizzare gli investimenti) è come ridisegnare l’organizzazione burocratica, semplificando la legislazione, velocizzando le procedure, senza che gli organi di controllo perdano di vista l’intero processo. Senza un nuovo patto di fiducia tra lo stato ed i suoi dirigenti, basato sulla responsabilità individuale e sul decentramento delle decisioni, è impossibile uscire da questo ingorgo.  D’altronde, se lo stato ha affidato alla magistratura l’accertamento nell’applicazione delle leggi, se ai medici ha affidato la cura della salute dei propri cittadini, e agli insegnanti l’educazione dei suoi figli, perché non affidare ad una burocrazia professionalmente qualificata la realizzazione dei progetti pubblici. In democrazia sono l’efficienza delle procedure e la trasparenza a garantire la correttezza delle deliberazioni.
Senza questo enorme salto di qualità, sarà impossibile invertire la marcia rispetto ad un declino che presto potrebbe divenire inarrestabile.