Centrodestra, perturbazioni in vista
Non portano bene le promesse ultimative.
Ne sa qualcosa Matteo Renzi, sconfitto principalmente dal famoso «se perdo lascio la politica» lanciato alla vigilia del referendum del 2016 che ebbe l’effetto moltiplicatore dei «no».
Stessa la sorte toccata in terra emiliano romagnola al suo «dirimpettaio», l’altro Matteo, Salvini.
Non portano bene le promesse ultimative. Ne sa qualcosa Matteo Renzi, sconfitto principalmente dal famoso «se perdo lascio la politica» lanciato alla vigilia del referendum del 2016 che ebbe l’effetto moltiplicatore dei «no». Stessa la sorte toccata in terra emiliano romagnola al suo «dirimpettaio», l’altro Matteo, Salvini, il quale ha condotto una campagna elettorale incentrata, con ossessiva ripetitività, sulla certezza di un trionfo epocale nella «rossa» Bologna di tale forza tellurica da far cadere il governo nazionale. Relegata al ruolo ancillare la candidata Borgonzoni, un Salvini sospinto da sfrenato egotismo ha inzeppato i media di sé stesso in versione da padreterno, «ghe pensi mi», aggressivo e tuonante. Sicché la minaccia di «delenda Bologna» ha moltiplicato le schiere dei difensori, tra i quali in gran numero, forse decisivo, i giovani, lo strafottente esercito delle Sardine. Mancato l’obiettivo, ovvero una sconfitta di tutto il centrodestra. Rispetto alle Europee, la Lega Salvini perde due punti percentuali, Forza Italia è quasi scomparsa. Regge bene anzi benissimo «Fratelli d’Italia», il partito guidato dall’accorta Giorgia Meloni, la vispa giovane «Thatcher de’ noantri» che, dati alla mano, ora è in grado di pretendere un ruolo da pari a pari con i due alleati, in verità mai da lei molto amati, Salvini e Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere, disarcionato al Nord con un misero 2,5 per cento, si è barricato a Reggio Calabria, dove Forza Italia guidata da un’azzurra della prima ora, Iole Santelli, ha fatto il pieno di voti e detronizzato il centro sinistra. Dal successo nella città dei superbi Bronzi di Riace, che ha un meraviglioso lungomare chiamato «il più bel ultimo chilometro del mondo», Berlusconi trae la forza, forse illusoria, per proclamarsi l’unico vero difensore dei valori occidentali, indispensabile «spina dorsale del centrodestra». Un mantra legittimo ma che spesso è sentito dagli alleati come una spina nel fianco.
D’altra parte, così stando le cose, Salvini ha dimostrato che l’irruenza chiassosa e il tremendismo praticato in versione vendicatrice nonché la teatralità di azioni da giustiziere via citofono, non pagano affatto, non piacciono all’elettorato dei moderati, quel settore dell’opinione pubblica che paradossalmente ha traslocato all’estrema destra convinti, i moderati, dalla nitida e ferrea pacatezza della Meloni.
Da sempre i tre leader sorridono in pubblico ma, spenti microfoni e telecamere, non fanno mistero di non sopportarsi l’un con l’altro. Il flop di Salvini e del Cavaliere a Bologna, non compensato anzi ingigantito dal successo calabrese, apre una fase che sarà decisiva per la linea e la leadership del centrodestra.