Gli interessi sul debito? Senza crescita non si ripagano

Alfredo Alessandrini

Nella recente Assemblea Abi del 12 luglio che ha celebrato anche i cento anni di vita dell’associazione, vi sono stati due importanti interventi del Governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco e del Ministro dell’economia Giovanni Tria. I numeri riportati nei due interventi non erano sostanzialmente dissimili.
Soffermiamoci per un attimo sulle previsioni di andamento del Pil per l’anno 2019 che, secondo il Bollettino economico di Banca d’Italia, sono dello 0,1%, mentre secondo gli uffici del Mef sono dello 0,2%. Le indicazioni che si ricavano dai due dati sono di una economia italiana sostanzialmente stagnante. Se guardiamo un Paese che alcuni anni fa ha attraversato una crisi importante, la Spagna, vediamo che nel 2018 il suo Pil è cresciuto del 2,6% e nel 2019 Banca di Spagna prevede una crescita del 2,2%.
La crescita del Pil italiano allo 0,1% è confermata da un organismo indipendente quale l’Ufficio parlamentare di Bilancio. In questo articolo vogliamo portare l’attenzione però su un fatto specifico avvenuto all’assemblea dell’Abi: alludiamo alla diversa valutazione sul futuro dell’economia italiana.
La posizione del Governatore di Banca d’Italia è stata più prudente o addirittura preoccupata, quella del Ministro ha presentato valutazioni orientate a maggiore ottimismo.
Pur riconoscendo al Ministro Tria doti di grande equilibrio e lungimiranza, alla luce anche dei recenti dati dell’Upb, temiamo che la visione di Visco sia più vicina alla realtà.
Naturalmente con questi dati di crescita pressoché nulla anche l’indicatore debito/Pil è destinato ad aumentare; infatti la Commissione europea stima, correttamente, che il dato del debito sia al 134% del Pil, superiore a quanto indicato nel Def.
Con questi dati di assenza di crescita non vi è la concreta possibilità di ripagare gli interessi sul debito. E’ vero che i tassi del nostro debito sono diminuiti con uno spread attorno ai 200 punti base, ma sono sempre molto alti rispetto ad una crescita stimata del Pil pari allo 0,1%.
Se prendiamo il caso della Spagna, con una crescita stimata del Pil al 2,2% per il 2019 lo spread è attorno ai 78 punti base; come possiamo notare la differenza rispetto a quello italiano è di oltre 100 punti base. Nel caso della Spagna la crescita del Pil consente di far fronte agli interessi del debito.
Torniamo allo scenario italiano: la visione più pessimistica nasce dai dati sulla crescita che è ferma e sul debito che cresce: come si può far fronte ad una legge di bilancio che fra clausola di salvaguardia dell’Iva, flat tax e altre previsioni di politica economica può arrivare a sfiorare i 50 miliardi di euro?
E’ vero che occorre una manovra espansiva posto che siamo in una fase di stagnazione, ma per far questo occorre una attenta riduzione delle spese correnti non produttive puntando su investimenti e scuola, formazione, ricerca, ovvero con un occhio rivolto al futuro.
Ed è altrettanto vero che occorre mettere mano a una revisione organica della imposta sui redditi; ma occorre evitare l’adozione di misure limitate con effetto solo dimostrativo.
La previsione sulla crescita italiana del Pil nel 2020 si mantiene a livelli al di sotto dell’1%: si va dallo 0,6 dell’Ocse allo 0,7 dell’Upb allo 0,8 del Mef.
Ancora una volta il nostro Paese, che è la seconda manifattura d’Europa, non riesce a esprimere la sua potenzialità con un andamento limitato della crescita rallentato dal livello dell’indebitamento, dall’incertezza politica e mancando di una politica economica veramente espansiva dal punto di vista strutturale.
ALFREDO ALESSANDRINI
Docente di materie economiche