Hormuz: tante scintille e nessun pompiere

Paolo Ferrandi

Lo Stretto di Hormuz mette in comunicazione il Golfo Persico  con il Golfo di Oman e l'Oceano Indiano. E' lungo una sessantina di chilometri e largo  trenta. In queste acque, tanto trafficate che il transito delle navi è regolato da un accordo internazionale, passa circa un quinto della produzione di petrolio mondiale.  È quindi considerato uno dei punti più  «caldi» del globo, anche perché i Paesi che si affacciano su questo tratto di mare - Iran, Oman e Emirati -  non sono proprio i vicini più pacifici del mondo. Una qualunque crisi in queste acque può avere conseguenze  molto serie per l'economia mondiale.
È per questo che la crisi che si è aperta in questi giorni con il sequestro di una petroliera britannica da parte dei Pasdaran iraniani è seguita con apprensione dalle cancellerie mondiali. Prima della petroliera inglese ne era stata sequestrata un'altra in questo caso però battente bandiera degli Emirati. E gli iraniani lamentano il fermo di una loro nave a Gibilterra da parte della Gran Bretagna. Parallelamente a questo c'è una specie di guerra dei droni tra Iran e Stati Uniti con abbattimenti - riusciti o tentati - da entrambe le parti. Per non parlare degli assalti - per ora non rivendicati da nessuno, ma che l'Occidente pensa siano stati architettati dall'Iran - ai danni di altre petroliere.
Insomma ce n'è abbastanza per far temere che queste scintille, in un'area così altamente infiammabile, prima o poi facciano scoppiare l'incendio. E per ora non si vedono pompieri all'orizzonte.