I 100 anni del Pci celebrati grazie a soldi pubblici? È «tafazzismo»

Vittorio Testa

Quattrocentomila euro di danaro pubblico per celebrare i 100 anni dalla nascita del Pci nel gennaio del 1921 a Livorno. E’ con questa cifra ottenuta nella manovra economica di governo, non esigua in sé ma enorme visti i tempi che corrono, che  il Partito democratico e Liberi e uguali continuano felicemente il tradizionale «tafazzismo» della sinistra, usa a vibrare randellate a se stessa, come il personaggio autolesionista, Tafazzi, interpretato da Giacomo Poretti. Certo il Partito comunista italiano ha una storia ben radicata nella politica italiana, dalla Resistenza alla svolta di Salerno, alla Costituente e alla partecipazione nel governo postfascista con  Togliatti Guardasigilli padre dell’Amnistia, alla conquista del 36 per cento nelle elezioni amministrative del 1976. Ha avuto un leader amato e rispettato anche dagli avversari come Enrico Berlinguer, il segretario che ruppe il cordone ombelicale con Mosca, scelse il Patto Atlantico e l’eurocomunismo, portando il Pci in maggioranza nel breve periodo del compromesso storico. 
Poi la Bolognina nel 1991, la nascita del Pds di Occhetto, quindi i Ds , l’Ulivo, il Pd e D’Alema primo exPci  a diventare presidente del Consiglio; un altro exPci, Napolitano, eletto  presidente della Repubblica. Tutto questo è degno di rispetto, al di là delle opinioni di ciascuno. Ma quale spiritello maligno si è impadronito del Pd e di LeU, spingendoli a un gesto che non può che suscitare riprovazione in un contesto economico e sociale così difficile?

Non ha del tutto torto chi vede in questo episodio l’ennesima dimostrazione della distanza abissale tra il cittadino e il ceto politico. E da questo punto di vista si può rintracciare il «tafazzismo» un po’ ovunque nel nostro Parlamento. Vedi la continua rissa tra maggioranza e opposizione che peraltro si sono scambiati i ruoli, Lega e Pd, nel giro di un mese. Ulteriore prova di «tafazzismo» nazionale è il sempiterno scontro tra politica e magistratura ricorrente fin dai tempi di Mani Pulite. 
Ora sia Salvini sia Renzi, due dei protagonisti principali delle Camere, entrambi con alle spalle ruoli di vertice governativo e attualmente leader di partiti determinanti, sono sottoposti a indagini. Gridano allo scandalo, denunciano d’essere vittime della «giustizia a fini politici». Lo sconcerto regna sovrano nella pubblica opinione. 
Né va meglio, quanto a «tafazzismo», nella ripresa dei cambi di casacca in Parlamento, dove dall’inizio della legislatura sono già 86 gli eletti che hanno cambiato gruppo, la maggior parte dei quali da settembre, dal varo del governo Conte bis. Gli ultimi tre casi riguardano politici del Movimento 5 stelle approdati alla Lega. Grande scossone ha dato in Parlamento la  nascita di Italia Viva (Iv) di Matteo Renzi che ha 28 seggi alla Camera e 17 al Senato. Il gruppo a Palazzo Madama si è formato con un escamotage. Il nuovo regolamento non consente la formazione di nuovi gruppi nel corso della legislatura, fatta eccezione per i partiti o liste che abbiano partecipato con loro simbolo alle elezioni: Renzi si è agganciato al Psi di Nencini, e il gioco è fatto. Gruppo Iv-Psi al Senato. Gruppo Iv alla Camera. Adesso in posizione sempre più determinante, Renzi tiene sotto  schiaffo il governo, boccia proposte di nuova legge elettorale che non gli garbino. 
A proposito: se non ci saranno le firme di 64 senatori richiedenti il referendum, il 12 gennaio scatterà la riforma con il taglio di 345 parlamentari, approvata dalle Camere a grandissima maggioranza. Alle prossime elezioni molti degli attuali eletti si ritroverebbero pertanto a spasso. Mancano 12 firme per bloccare la riforma voluta da tutti. C’è chi scommetterebbe forte sul fatto che le 64 firme il 12 gennaio ci saranno. Parola di Tafazzi.