Il Salvini ecumenico non vuol più sfasciare tutto
«Sediamoci tutti, maggioranza e opposizione, intorno a un tavolo e troviamo l’accordo sulle cose più urgenti da fare. Perché se questo governo campa altri tre anni e si vara una legge elettorale proporzionale, il Paese non si salverà». Un mesetto fa Matteo Salvini aveva fatto spallucce alla proposta lanciata dal suo vice Giancarlo Giorgetti, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo-chiave nel Palazzo. Uomo refrattario al proscenio, tutto pacatezza e moderazione, gode vasta stima in Parlamento, ed è apprezzato anche dal presidente della Repubblica e dal successore di Pietro al soglio dell’Oltretevere. E pontifex, costruttore di ponti, lo è appieno, questo bocconiano schivo e di poche parole nonché tenace lombardo di Cazzago Brabbia, nel Varesotto, quasi Svizzera. C’è il suo saper essere la goccia che alla lunga scava il marmo, nel ripensamento del Salvini che ora insiste a proporre un «Comitato di emergenza nazionale» per risolvere le questioni più gravi e urgenti del Paese. Ripensamento autentico, come afferma lo stato maggiore leghista o rinsavimento di convenienza strumentale per abbattere il governo non più a spallate ma con una dolce eutanasia, esautorandolo con il consenso ecumenico il più vasto possibile. Non a caso la prima apertura all’idea lanciata dal Matteo «lumbard» in veste di pacato pastore di anime politiche, è arrivata dal Matteo toscano, quel Renzi che è indispensabile per la tenuta del Conte bis, che ha messo insieme 28 deputati e 17 senatori grazie alla diaspora interna al Partito democratico.
Ora, se si andasse a votare anticipatamente Renzi potrebbe raggiungere al massimo un 5 per cento: con tanti saluti a quel patrimonio di scranni ottenuti senza passare per le elezioni. E poi sia Salvini sia Renzi hanno come obiettivo primario quello di far cadere il premier Conte, il quale a dispetto delle critiche sul suo bifrontismo che l’ha portato a essere il presidente sia del governo di destra sia di quello di sinistra, sembra gradito a buona parte dell’opinione pubblica per i modi beneducati, le dichiarazioni rassicuranti e quell’aria sofferente di cireneo azzimato che porta la croce per tutti noi, caricati per senso del dovere sulle sue spalle vestite di abiti sartoriali. D’altra parte nemmeno a Salvini conviene più il voto anticipato troppo in fretta, il vento nelle vele è un ricordo. Ma soprattutto pare essersi convinto che per diventare uno statista occorre abbandonare l’abito del comiziante incendiario che grida «la pacchia è finita», che vuole portare alla sbarra i «criminali di Bruxelles che affamano l’Italia», che dice al Papa di farsi i fatti suoi. C’è da rassicurare circa le intenzioni, non sfasciare tutto: in parole povere, occorre fare incetta dei voti dei moderati. Forza Italia è al lumicino, e i vertici del partito hanno la valigia pronta. Con Toti e il suo «Cambiamo» è già fatta. Giancarlo Giorgetti ha ripercorso i sentieri di guerra a Bruxelles e Strasburgo di quel Salvini tonitruante e minaccioso («Non siete normali, vi manderemo a casa!») e addirittura insultante il presidente Juncker («Buon grappino!») seminando volontà di confronto costruttivo e promesse di collaborazione. Silvio Berlusconi sta facendo il giro delle sette chiese per rassicurare i vertici del Partito popolare europeo sul nuovo corso leghista. Obiettivo: l’ingresso della Lega Salvini nel Ppe. Addirittura capita una cosa da non credere: Salvini non esclude che possa nascere il Comitato di emergenza nazionale presieduto da Mario Draghi. I prossimi giorni ci daranno l’esatta misura della trasformazione leghista impressa dal leader su consiglio del Giorgetti-Pontifex. Salvini non può più permettersi di non differenziarsi nettamente da Fratelli d’Italia. E infatti Giorgia Meloni da ragazza sveglia qual è ha subito bollato la proposta di Salvini come «inopportuna» e per di più lanciata senza consultare o almeno informare l’alleata. Nient’affatto contrito, il Salvini pastore ecumenico chiamato ad infoltire l’ovile, anche abigeando le pecorelle altrui, ha risposto con sincera crudeltà: «Se se ne perde uno a destra ma tre ne arrivano da sinistra. Ci può stare…»