Perché Salvini non vuole le elezioni a settembre
Chiusa la "finestra elettorale" per andare a votare a settembre, la maggioranza gialloverde è al riparo. Salvini, che avrebbe potuto bloccare l'"assestamento di bilancio" e l'accordo con l'Ue, ha invece lasciato fare Conte, Tria e ha incassato l'inedito sostegno del Capo dello Stato (Mattarella è intervenuto riservatamente e pubblicamente per scongiurare la procedura d'infrazione, dimostrando che il Quirinale può essere una preziosa risorsa, non un impaccio, come invece qualcuno credeva ai tempi della mancata nomina di Savona a ministro dell'Economia).
Perchè il vicepremier, incassato il 34% dei voti alle europee, di fronte al collasso del M5s, ad un Pd che si è ripreso ma è ancora convalescente e debole, non ha concluso l'esperienza di governo con Conte e Di Maio? Avrebbe potuto farlo sui conti pubblici o sulle autonomie, invece rallenta persino sui tempi di attuazione della cosiddetta "flat tax", che ora si dice arrivi gradualmente, senza devastare il bilancio 2020. Persino certe eventuali aperture di alcuni settori del Pd (minoritari) nei confronti del M5S (da concretizzarsi, però, solo dopo nuove elezioni, con i pentastellati quali junior partner dei democratici e non viceversa come sarebbe adesso) non sconvolgono i progetti di Salvini. Il ministro dell'Interno non è neppure eccessivamente preoccupato per i mugugni dei suoi governatori lombardo e veneto, perchè l'autonomia è un obiettivo importante, ma bisogna farlo passare senza perdere il Sud (senza il quale la Lega sarà sempre solo un grosso partito da Roma in su, ma non nel Mezzogiorno dove invece ha avuto ottimi risultati il 26 maggio scorso alle europee). Se si andasse al voto, basterebbe forse una piccola coalizione fra Lega e Fratelli d'Italia per conquistare la maggioranza in Parlamento. Poi, però, il Carroccio dovrebbe assumersi moltissime responsabilità: per quanto generoso verso la Meloni, Salvini non potrebbe certo dare ad un partito del 6-7% la stessa delegazione ministeriale che oggi hanno i pentastellati. Quindi oneri e onori - Palazzo Chigi compreso - andrebbero tutti a Salvini, che dovrebbe trattare con l'Europa (anzichè defilarsi, come Di Maio, al momento di varare l'assestamento di bilancio) e affrontare problemi elettoralmente molto meno redditizi dell'immigrazione. Subendo, peraltro, la concorrenza a destra della Meloni, che su certi temi è persino più dura del leader leghista. Meglio evitare le elezioni, lasciare il governo a bagnomaria, con un Di Maio indebolito, un M5S timoroso di affrontare una campagna elettorale dall'esito oggi quasi scontato e con un'opposizione che è ben lungi dall'essere tornata realmente competitiva (senza parlare di Forza Italia, dilaniata all'interno e in crisi nei sondaggi, oltre che nelle urne). Il contrasto con il ministro della Difesa Trenta e l'accelerazione sulla Tav sono segnali della tattica estiva di Salvini, che consiste nello scaricare i problemi sugli alleati e sul presidente del Consiglio, incassando però i voti virtuali (e forse reali) della campagna contro l'immigrazione. Se l'autonomia non arriva, se la Tav rallenta, se la flat tax si deve attuare gradualmente, si può dare la colpa al contratto e alla convivenza con un partito molto diverso dalla Lega. Ma in futuro, con la Meloni a dare battaglia e forse a seguire la via che oggi ha scelto Salvini, la navigazione della Lega sarebbe altrettanto agevole? Meglio rimandare le elezioni, dunque. Non di molto, ma quanto basta.