Un bracciale contro i femminicidi
L’avvertimento, una vera e propria premonizione dell’intento femminicida, risale addirittura al 29 luglio. Due mesi dopo, il 6 ottobre, nuova manifestazione di un rancore pronto a esplodere. Di lì a due giorni, l’irreparabile accade. Lui, un giovane uomo di 28 anni squassato dalla tossicodipendenza, senza un lavoro, ossessionato dalla gelosia, già in passato aveva dato segni di squilibrio. Lei, di cinque anni più giovane, disperata, aveva deciso di separarsi anche per salvaguardare la crescita della figlia di 4 anni. Non era affatto impossibile, anzi, immaginare l’epilogo, il precipitare dentro il baratro di una tragedia maturata sotto gli occhi di tutta una comunità. I due giovani si incontrano, Giulia gli conferma la decisione di mettere fine a una convivenza diventata impossibile; Roberto reagisce brutalmente, le stringe il collo fino a fermarle il battito del cuore. Sette giorni di agonia, poi la morte.
Provoca smarrimento e indignazione il ripercorrere questa atroce vicenda quasi narrata passo passo, raccontata e pubblicata su Facebook, con tanto di faccine a rappresentare gli stati d’animo dei protagonisti. In pochissimi ad Adria, il paese veneto della tragedia, possono dire di non avere avuto sentore del pericolo. A fine luglio lei scrive sul social indirizzando al marito, in codice web «PrincipeMio» corredato da un cuoricino: «Amore domani esco con mamma, vado a fare la spesa». Lui le risponde con raccapriccianti toni e lessico ultramisogini, da pasdaran yemenita che minaccia la lapidazione: «Vabbene amo. Però devo dirti alcune cose. Non truccarti. Fatti brutta. Non aggiustarti i capelli. Non salutare nessun maschio. Se quando esci dal supermercato qualcuno dice Arrivederci tu fa finta di non sentire perché non puoi rispondere ad un maschio. Mettiti una felpa lunga e larga e un pantalone largo così non si vedranno le forme del tuo corpo». Lei protesta: «Perché fai così?». Lui: «Perché se ti fai bella ti guardano tutti.. invece così no e io risparmio 30 anni di galera fatti per omicidio». Siamo al 29 luglio, è l’estate in cui Giulia matura la decisione di uscire da questa impossibile vita di coppia. Il 6 ottobre, lui manda un altro WhatsApp, un messaggio di lamentazioni e accuse, incolpa la moglie di averlo trattato «come spazzatura» e termina con un minaccioso «ok tutto questo l’hai voluto tu». Due giorni dopo Giulia è ridotta in fin di vita dalla morsa delle mani di Roberto diventate strumento di annunciata vendetta. I medici tentano di salvarla, lei resta in coma farmacologico una settimana, poi si spegne. Il sindaco di Adria, grosso centro del Rodigino, proclama il lutto cittadino. Certo, una decisione apprezzabile, tutta la comunità è scossa e addolorata. Nessuno ha colpe specifiche. Tutti noi siamo innocenti. In un anno, dal luglio 2017 all’agosto 2018 in Italia sono stati commessi 120 femminicidi. La statistica non è ancora in grado di darci le dimensioni ultime di questa ininterrotta strage. In Francia hanno deciso di dotare le potenziali vittime, le donne in situazioni a rischio, di un braccialetto elettronico in grado di lanciare un allarme immediato nei momenti di pericolo. Un’idea minima, certamente. Ma perché non adottarla?
VITTORIO TESTA