L'informazione e il rispetto dei diritti dei minori
All’indomani dell’omicidio di Vetralla, il Garante della privacy ha sentito il dovere di tornare sul tema del corretto esercizio del diritto di cronaca, per richiamare i mezzi d’informazione al rispetto della riservatezza dei minori. Molti quotidiani, anche online, avevano infatti diffuso, con grande enfasi, insieme ad altri dati personali, anche le immagini in chiaro del bambino ucciso in provincia di Viterbo.
Si tratta di condotte improvvide, oltre che irriguardose nei confronti della vittima e dei suoi famigliari. E’ stata lesa la dignità della memoria. Alcuni giornalisti si sono cioè resi responsabili di gravi violazioni deontologiche, venendo meno all’obbligo inderogabile di proteggere in maniera rafforzata la privacy dei minori, quando coinvolti in tragedie ed episodi di cronaca nera.
In nome dell’innegabile interesse pubblico dei fatti narrati e del prioritario diritto-dovere di informare la collettività, alcune testate hanno pubblicato dettagli in eccesso, contribuendo a rendere il minore identificabile, attraverso foto e immagini, che l’Autorità ha invitato a non diffondere ulteriormente e a oscurare su media e social network, senza escludere di aprire istruttorie per accertare ulteriori responsabilità.
Il Garante della privacy non può punire i giornalisti ma può intervenire nei confronti delle testate. Il giudizio disciplinare nei confronti di chi esercita la professione giornalistica e risulta iscritto all’Albo professionale spetta invece ai Consigli di disciplina, chiamati a far rispettare i principi della deontologia giornalistica riassunti nel Testo unico dei doveri del giornalista e, nella materia specifica della tutela dei minori, nella Carta di Treviso.
Nei giorni scorsi è entrata in vigore la nuova Carta di Treviso, documento deontologico per chi diffonde informazioni giornalistiche riguardanti i minori. A 31 anni dalla prima versione, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato l’aggiornamento di quella che è stata la prima forma di autoregolamentazione settoriale nella storia del giornalismo italiano, adeguandola ai cambiamenti intervenuti nel mondo dei media. La civiltà multimediale ha prodotto una profonda evoluzione della trasmissione dei contenuti informativi e i minori, maggiormente esposti ai rischi della sovraesposizione mediatica, meritano un supplemento di premure e accortezze da parte di chi racconta le loro storie.
La Carta di Treviso è un protocollo firmato il 5 ottobre del 1990 dai vertici della categoria dei giornalisti e da Telefono Azzurro per proteggere l’identità, la personalità e i diritti dei minorenni vittime o colpevoli di reati, o comunque coinvolti in situazioni che potrebbero comprometterne l’armonioso sviluppo psichico. I minori rientrano tra i soggetti deboli e particolarmente vulnerabili, meritevoli di una tutela rafforzata da parte dei media. Già nel 1995 si intervenne con un Vademecum, per aggiungere alla Carta di Treviso una cautela ulteriore nei confronti dei minori adottati e dei minori disabili, mentre nel marzo 2006 i soggetti firmatari rinfrescarono i principi del documento alla luce dell’incalzante digitalizzazione, chiamando i produttori e i distributori di contenuti in rete ad una matura assunzione di responsabilità.
Una scommessa vinta solo in parte, visto e considerato che nell’ambiente digitale circola una quantità infinita di contenuti potenzialmente lesivi della dignità dei minori, prodotti in larghissima parte da non giornalisti, cioè da soggetti non sollecitati da principi deontologici e quindi assai disinvolti nel diffondere dettagli di vita in grado di rendere riconoscibili i bambini da parte di un pubblico molto esteso e, in alcuni casi, pericoloso.
Bene fa la nuova Carta di Treviso a rafforzare il rispetto dell’anonimato del minore, cioè a vietare la divulgazione di elementi ritenuti in grado di portare alla sua identificazione anche in assenza di pubblicazione delle sue generalità. Il minorenne dev’essere interpellato e coinvolto nei processi di confezionamento dei resoconti giornalistici solo quando le informazioni che può fornire siano essenziali alla ricostruzione degli eventi, altrimenti va protetto e l’intangibilità della sua sfera di privacy è da considerarsi sacra. Il giornalista deve responsabilmente valutare se la pubblicazione di un particolare sia o meno nel concreto interesse del minore e non produca conseguenze negative nei suoi confronti, a prescindere dall’eventuale consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale. Tutti principi condivisibili, che sarà opportuno far rispettare con puntualità e senza tentennamenti, anche al fine di rendere sempre più credibile e affidabile, agli occhi dell’opinione pubblica, il lavoro dei cronisti.
Tuttavia, la nobile crociata del mondo dell’informazione per costruire una efficace rete di tutele delle nuove generazioni rischia di rimanere con le armi spuntate se alla spiccata sensibilità dimostrata dai giornalisti non si sommerà un solido impegno da parte delle famiglie, delle scuole e dei colossi del web nel corazzare la presenza dei minori nell’ambiente virtuale attraverso interventi educativi, correttivi e punitivi e azioni di contrasto di abusi e soprusi ai loro danni. Sappiamo che internet è terreno di insidie quotidiane e non sempre contenibili e che l’atteggiamento bulimico dei ragazzi quando usano le nuove tecnologie scavalca in maniera devastante le premure educative di genitori e insegnanti e le iniziative di contenimento dei rischi messe in campo dai gestori delle piattaforme web e social.
Occorre incentivare ogni forma di sinergia tra pubblico e privato, tra le istituzioni e tutti gli attori della filiera di produzione, distribuzione e fruizione di contenuti informativi, nei vecchi e nei nuovi media, affinché si realizzi un’auspicabile riconnessione di sensibilità rispetto ai valori della dignità umana e del rispetto della persona, in particolare della sicurezza e del benessere dei minori. Banale ricordare che i protagonisti del domani saranno proprio loro e che non possiamo e non dobbiamo lasciarli in balìa dell’anarchia digitale e della disinformazione alienante e distruttiva. Nella produzione e diffusione di contenuti si coltivi la categoria dell’essenzialità dell’informazione, espungendo tutti quei particolari lesivi dei diritti dei minori, oltre che superflui per la completezza del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. Nell’implementazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione si rafforzi, invece, il filone dell’educazione a un uso consapevole e responsabile del web, per operare una saldatura provvidenziale tra profondità umana e benefici tangibili dell’innovazione digitale.