Editoriale

Informazione di qualità contro il populismo mediatico

Ruben Razzante

L’andamento della curva epidemiologica continua a preoccupare. L’incertezza sul prossimo futuro, con la possibilità concreta di ulteriori restrizioni, pesa come un macigno sui programmi per le ferie natalizie. I riflettori sono ovviamente puntati in primo luogo sulle istituzioni sanitarie, deputate alla salvaguardia della salute delle persone. Ma non sfugge ai più il ruolo cruciale che l’informazione è chiamata a svolgere in questa quarta ondata della pandemia, iniziata un po in sordina ma ora nel pieno del suo vigore, anzi pronta a ipotecare spazi importanti della nostra quotidianità.

L’imprevedibilità delle varianti e della diffusione del virus alimenta un clima da caccia alle streghe e impone una rinnovata riflessione sulla necessità di una comunicazione istituzionale coerente ed equilibrata e di una informazione giornalistica ancorata alle evidenze scientifiche anziché prigioniera, come spesso appare, degli istinti emotivi e della volatilità degli umori.
La battaglia contro le fake news, cioè le notizie false o di dubbia autenticità che finiscono per ispirare ragionamenti fuorvianti e comportamenti sbagliati, dovrebbe unire in un fronte comune e coeso tutti gli attori del mondo dell’informazione 

e tutte le voci istituzionali e della comunità scientifica sensibili al valore della comunicazione di pubblica utilità. Invece sta succedendo esattamente l’opposto: lungo il sentiero della valorizzazione di contenuti affidabili e fondati su dati inoppugnabili ed esperienze consolidate e certificate, sembrano catturare in maniera più incisiva l’attenzione pubblica le opinioni urlate, i ruggiti scomposti di chi, alzando la voce, pensa di riuscire a imporre più efficacemente il suo pensiero.
Gli studi televisivi si trasformano sempre più spesso in ring. Le “scazzottate” verbali prendono il sopravvento sul metodo maieutico dell’emersione di un pensiero nobile e figlio di un arricchente confronto dialettico. Alla levatrice chiamata a favorire con l’approccio dialogico l’autonoma maturazione di una verità persuasiva e convincente si sostituisce la sistematica attitudine di ciascun interlocutore a sovrastare gli altri con la propria voce, mentre il conduttore, apparentemente turbato e contrariato, rinuncia a sedare le telerisse perché schiavo dello share e dell’amplificazione che esse ricevono sui social.

E’ un meccanismo perverso che sa tanto di populismo mediatico e poco di informazione professionale e che finisce per esacerbare gli animi senza favorire una adeguata comprensione delle dinamiche evolutive della pandemia. Per porre un argine alla degenerazione di alcuni talk show occorrerebbe individuare alcune modalità per sganciare i contenitori dedicati all’emergenza sanitaria dalla dipendenza morbosa dall’auditel e dalla misurazione degli ascolti. Nel frattempo, perché l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), considerata l’eccezionalità del momento storico che stiamo vivendo, non si cimenta nell’elaborazione di un atto di indirizzo da inviare a tutte le emittenti, richiamando al rispetto dei contenuti essenziali dell’informazione di pubblico servizio, fondata su messaggi chiari, trasparenti e in grado di soddisfare in maniera limpida e coerente il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, tanto più su vicende che attengono alla salute?

Potrebbe, in realtà, essere un “lavoro di squadra” con l’Ordine nazionale dei giornalisti, sulla falsariga di quanto accadde nel 2009 in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie in tv. Il codice sui processi mediatici fu figlio di un’intuizione dell’Agcom, che ne condivise lo spirito con i vertici della categoria dei giornalisti e lo rese operativo grazie all’adesione convinta di tutti i broadcaster. Non si può tuttavia sostenere che quell’esperienza sia pienamente riuscita, visto l’imbarbarimento di molte trasmissioni riguardanti controversi casi di cronaca nera e giudiziaria. Innegabilmente, però, il metodo della concertazione su principi, regole e percorsi attuativi è il più democratico e inclusivo e consente di coprire per intero l’ampio spettro dei contenitori di informazione e infotainment.

Anche perché l’attitudine a spettacolarizzare la narrazione e i dibattiti sul Covid coinvolge sia i giornalisti che i non giornalisti, cioè gli opinionisti che svolgono altre professioni, anche medico-sanitarie. E allora perché non definire in un nuovo codice di condotta alcune regole ispirate a sobrietà dei toni, verifica attenta delle fonti, rispetto del pluralismo delle idee e valorizzazione dei contenuti funzionali ad una efficace tutela della salute dei cittadini? Qualcuno obietterà che questi principi sono già sanciti nel Testo unico dei doveri del giornalista, peraltro modificato proprio un anno fa con integrazioni significative in materia di informazione medico-scientifica. Tra le altre cose, infatti, nel nuovo testo si legge che . Ma i consigli di disciplina dei giornalisti fanno rispettare con puntualità queste prescrizioni? Non pare. Gli esempi di possibili violazioni non sono pochi, eppure sfuggono ai radar degli organi di vigilanza

della categoria. Il problema è che le ricadute sulla qualità dell’informazione sono rilevanti. Di qui la necessità di potenziare le forme di autodisciplina, sensibilizzando gli addetti ai lavori sull’impatto che condotte contrarie alla deontologia professionale possono avere sulla democrazia dell’informazione e, nell’attualità presente, sulla qualità dell’informazione riguardante il Covid.

E’ opportuno evidenziare che molte fake news, che finiscono per ostacolare la campagna vaccinale e le azioni di contrasto al Covid, non sono completamente false, ma solo parzialmente inesatte, in quanto non aggiornate. E dunque, sia nei contenitori informativi che in quelli di approfondimento, bisognerebbe dare conto, in ossequio al principio di continuità dell’informazione, delle ultime evoluzioni riguardanti i diversi aspetti della pandemia. L’aggiornamento delle notizie è l’architrave dello “statuto” dell’informazione professionale, eppure molti lo dimenticano. Se all’aggiornamento si sostituisce il chiacchiericcio da salotto la battaglia è persa e i cittadini ricevono apparentemente tante informazioni ma nella realtà vengono disinformati.

L'auspicio è che il 2022 possa essere l'anno dell'informazione trasparente, documentata, equilibrata e responsabile, per sconfiggere l'infodemia, prima ancora della pandemia. Non sarebbe giusto invocare “meno informazione” ma una migliore informazione. Costruttiva, generativa e al servizio della persona. Solo così, per recuperare uno slogan fin troppo abusato, “ne usciremo migliori”.