L'ANALISI

Il Pil al +6,5% non illuda: l'allarme dell'auto

Aldo Tagliaferro

Ci stiamo - giustamente - gloriando del +6,5% messo a segno dal Pil italiano nel 2021. Ma quel dato, che segue il drammati- co -8,9% dell'anno prima, va letto tenendo ben presenti due fattori: il primo è che il peso del governo in quel 6,5% è decisivo in termini di sostegno alla domanda (non per niente se quella interna è cresciuta quella estera ha fatto più fatica) e in termini di politica espansiva; il secondo - come ha ricordato ieri l'economista Riccardo Gallo su MF - è che tanto più violento è lo shock tanto più rapido sarà il rimbalzo (secondo trimestre 2020 -18,2%, un anno dopo +17,2%).


Questo per dire che la crescita del Pil non significa che di colpo il Paese sta bene e ha risolto tutti i suoi problemi. E infatti i dati sul mercato dell'auto resi noti martedì sera sono drammatici: stiamo parlando di una filiera che, di quel Pil, vale la bellezza del 12%. Il crollo delle vendite di gennaio (-34% sul 2019, ultimo anno «normale») che proietta il nostro mercato sotto 1,2 milioni di immatricolazioni, meno della metà degli anni d'oro, ci dice che - al netto dei problemi di approvvigionamento dei microchip - se non si interviene in fretta il rischio è quello di perdere 70mila posti di lavoro nella ormai famigerata «transizione energetica». Tradotto: il passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici, deciso sull'onda di motivazioni ideologiche prima che industriali e scientifiche, sta mettendo a dura prova l'intero comparto dell'automotive europeo, e italiano in particolare.
Le parole di martedì del ministro Giorgetti («sono ottimista sul fatto che nelle prossime settimane presenteremo delle proposte per incentivi al settore dell’automotive») sono di per sé già una sconfitta perché confermano il madornale ritardo con cui la politica (non) affronta una questione che tutta la filiera, dai produttori ai concessionari, da anni cerca disperatamente di mettere sul tavolo.


L'Europa ha scelto la strada più breve, optando per la conversione all'elettrico in tempi stretti e senza considerare lo scacchiere mondiale, dove rischia di trovarsi a essere la prima della classe mentre chi non ha fatto i compiti potrebbe toglierle di mano ampie fette il mercato.
Oggi in Italia a una filiera vitale come l'automotive servono quattro cose: proteggere il Made in Italy (indotto compreso) rendendo il Paese attrattivo e competitivo; risolvere la questione energetica (che non riguarda solo l'auto, certo, ma qui oltre al danno si rischia la beffa di un «pieno» alla spina carissimo...); intervenire subito riducendo il parco circolante da Euro0 a Euro4, mossa ampiamente alla portata di incentivi e produttori; infine riportare la politica alla realtà, studiando un piano di transizione ecologica in concerto con l'Europa sostenibile per l'industria, l'occupazione e sotto il profilo sociali, consapevoli che l'elettrico è una delle risposte ma non può - nel breve - essere l'unica.


Altrimenti il prezzo da pagare in termini di conflitti sociali e disoccupazione sarebbe devastante: meglio pensare prima a come evitare licenziamenti e chiusure piuttosto che affidarsi a posteriori alle politiche da reddito di cittadinanza così popolari da un po' di anni a questa parte.