Editoriale
Caro energia, le ricadute per l'economia del paese: le emergenze dei prossimi mesi
La situazione politica ed economica dopo l’elezione del Capo dello Stato è particolarmente problematica.
Partiamo dalla crisi energetica e dal caro bollette: è previsto un piano straordinario di sostegni sia alle famiglie che alle imprese che però risolverà il problema della crescita del costo dell’energia solo in minima parte. Le ricadute economiche del caro bollette andranno pesantemente ad impattare sulla crescita economica, sia per le imprese che hanno un aumento di costi molto elevato sia per le famiglie che avranno difficoltà di gestione del bilancio familiare con una pesante ricaduta sociale da un lato ed economica, sui consumi, dall’altro.
La richiesta da parte dei partiti al Governo di un piano veramente imponente, come è richiesto dalla devastante crescita dei costi energetici, avrà sicuramente una ricaduta sul deficit annuale e sul debito pubblico in quanto per finanziare questo intervento viene chiesto uno scostamento di bilancio. Comunque questa situazione determina anche un rallentamento delle previsioni di crescita in quanto è accompagnata da difficoltà nella catena delle forniture per le imprese.
E’ ovvio che per il caro energia il Governo deve rapidamente intraprendere una specifica iniziativa del tenore di quella proposta dal presidente Prodi lo scorso giovedì a «Piazza Pulita», aprendo una trattativa diretta con i Paesi esportatori di gas.
A questo quadro a dir poco problematico si affianca la crescita dell’inflazione, prevista in aumento dal 1,9% del 2021 al 3,8% nel 2022 per poi ridiscendere nel 2023. Questa crescita, dice l’Istat, è dovuta prevalentemente ai prezzi dei beni energetici che passa dal 29,1% del mese di dicembre al 38,6% del mese di gennaio. Tutto questo si riverbera sui prezzi dei prodotti finiti che, come attesta appunto l’Istat, registrano aumenti quasi esclusivamente dovuti al caro energia.
È previsto che l’inflazione possa diminuire nell’ultimo trimestre dell’anno, ma intanto gli effetti sul rallentamento delle previsioni di crescita ci saranno sia nell’Eurozona che a livello della Unione europea e sicuramente anche nel nostro Paese, come attestato anche recentemente dal commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.
Ma gli effetti dell’aumento dell’inflazione avranno anche una ricaduta sui tassi di interesse, come indicato nella conferenza stampa della presidente della Banca centrale europea del 3 febbraio; questo non accadrà a breve, come invece nel Stati Uniti, ma comunque del tema si è cominciato a parlare.
I tassi di interesse della Banca centrale europea hanno un impatto sulle operazioni di rifinanziamento delle Banche e sui depositi della stesse. Ma le ricadute sarebbero poi sulle operazioni di finanziamento dei clienti sia privati che imprese, a partire dai mutui e dalle altre forme di prestito bancario.
L’altro impatto molto pesante di un aumento dei tassi sarebbe poi quello del costo del debito pubblico, che come noto per il nostro Paese è particolarmente rilevante. Ed allora il debito rimarrebbe sostenibile solo se il tasso di crescita del Pil sommato all’inflazione fosse superiore all’aumento dei tassi sul debito pubblico.
Possiamo capire però che le prospettive di crescita dell’economia saranno purtroppo rallentate dal costo dell’energia e dal rallentamento delle forniture.
Speriamo che il tema dell’aumento dei tassi da parte della Banca centrale europea slitti molto in avanti.
Comunque un effetto sul costo del debito pubblico ci sarà a seguito del rallentamento, questo già previsto, dell’acquisto sul mercato di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea sul piano speciale denominato Pepp.
Nel 2021 con i suoi acquisti di tutto il nostro debito pubblico da parte della Banca centrale europea è stato sostenuto il nostro debito pubblico e per il gioco della domanda e dell’offerta si sono mantenute alte le quotazioni e di conseguenza bassi i tassi. Nel 2022 gli acquisti scenderanno al 60 o al 70% e nel 2023 gli acquisti sul Pepp si azzereranno.
Anche queste previsioni peseranno sulle scelte del Governo in materia di bilancio pubblico.
Infine il Governo è alle prese con il Pnrr, con un rilancio della fase due che nel primo trimestre 2022 prevede contributi europei per 24,13 miliardi e per il secondo trimestre per 21,83 miliardi.
Anche qui vi sono distinguo nella maggioranza che sostiene il Governo e il presidente Draghi è dovuto intervenire direttamente per sollecitare il rispetto dei tempi previsti. Un discorso a parte, poi, spetta al piano di avanzamento delle riforme, previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che risente delle divisioni all’interno stesso delle forze che sostengono il Governo. Mario Draghi è riuscito in una positiva mediazione sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura, dando ampio spazio al Parlamento come richiesto dal presidente Mattarella. Ma vi è un’altra riforma divisiva che sta nella delega fiscale, dove sul catasto le posizioni all’interno della maggioranza sono diverse, ma anche sulla riforma dell’imposizione personale sui redditi vi sono visioni assai dissimili.
Un percorso, quello che attende il presidente Draghi e tutto il Governo, irto di ostacoli e di passaggi difficili.
Occorre quindi un nuovo slancio che consenta di ritrovare una capacità operativa del Governo per raggiungere gli obiettivi previsti nel Pnrr e per affrontare le emergenze nei prossimi mesi .
Alfredo Alessandrini