Editoriale

Finanziamento dei partiti: tema ancora aperto

Domenico Cacopardo

È il 3 luglio 1992, Bettino Craxi, leader dei socialisti, interviene alla Camera dei deputati nel dibattito parlamentare su Tangentopoli: «E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».
Nessuno, tuttavia, si alzò né riconobbe alla Camera o sui media che si trattava di un cruciale problema politico che andava risolto politicamente.
«Tutti sperarono che la campana suonasse solo per Craxi. E le cose andarono diversamente …» (Antonio Polito sul Corriere della sera).
La cronaca macina uomini e cose e la cronaca di quei tempi ebbe dei vincitori, i magistrati, e degli sconfitti, i politici.
Oggi a 30 anni di distanza, i vincitori sono meno vincitori di quanto sembrassero allora, giacché il tempo ha mostrato i limiti degli uomini che erano e sono. Non i superuomini che la gente credeva che fossero.
Tangentopoli e Mani Pulite segnarono il culmine della lotta politica che aveva diviso la sinistra del Paese: i socialisti, protagonisti della stagione del riformismo, puntavano sulla costruzione di un partito socialdemocratico moderno, del quale i comunisti fossero componente importante ma non egemone. I comunisti non accettavano l’idea di un ridimensionamento del loro ruolo e, sino al 9 novembre 1989, la sconfitta dell’impero comunista e, quindi, del loro approccio alla realtà italiana.
Il terreno del finanziamento illecito dei partiti fu il terreno su cui si sviluppò la campagna di moralizzazione, cui contribuirono migliaia di piccoli, medi e grandi imprenditori che denunciarono tangenti e tangentisti.
Si trattò di una stagione rivoluzionaria, che secondò il generale rifiuto della politica e della diffusa corruzione, e navigò su un effimero consenso popolare, determinando nuovi assetti dei partiti e delle leggi elettorali.
Anche se allora il Partito comunista rimase indenne («Il Partito non ne sapeva nulla, solo io sono il colpevole», dichiarò Primo Greganti, l’esponente del Pci caduto nella rete giudiziaria), fu presto evidente che -come aveva denunciato Bettino Craxi- esso non era estraneo al fenomeno.
Nelle istituzioni, i momenti critici si ebbero quando il governo di Giuliano Amato (il 7 marzo 1993) approvò un decreto-legge di depenalizzazione del reato di finanziamento illecito dei partiti (una norma che avrebbe smontato il 90% dei procedimenti) e Saverio Borrelli, procuratore a Milano, con il suo pool si pronunciò in diretta televisiva contro il provvedimento che poi non fu firmato dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, quando la Guardia di finanza, su ordine della magistratura milanese chiese e ottenne di entrare nella Camera dei deputati (presidente Giorgio Napolitano) per controllare le registrazioni finanziarie dei partiti (documenti di pubblico dominio, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), quando un avviso di garanzia venne notificato al presidente del consiglio Silvio Berlusconi mentre presiedeva a Napoli un vertice del G8.
La seconda Repubblica, nata con le elezioni del 1994, è, in parte, figlia di Tangentopoli. Distrutto il sistema dei partiti che produsse la Costituzione repubblicana, il Paese si mosse a zig-zag tra il centro-destra e il centro-sinistra seguendo un percorso della cui insufficienza siamo tutti testimoni. Salvo un breve periodo (febbraio 2014-dicembre 2016) di riformismo non si è più parlato, e il Paese ha perso competitività e dinamismo. Solo la pandemia ha determinato una generale reazione positiva che ha determinato e sta determinando percentuali miracolose di crescita.
Il ruolo censorio dell’autorità giudiziaria si è spento, come si è spenta la vis delatoria che aveva consentito di aprire le porte delle prigioni a parte importante del ceto politico.
Giuliano Amato, l’«orrendo» premier del decreto salva-partiti è il presidente della Corte costituzionale. I vincitori di oggi, coloro che scrivono ai nostri giorni la storia, non hanno nessun debito da pagare ai vincitori di ieri. Il mondo va avanti e non si guarda indietro: le giovani generazioni non sanno nulla o quasi degli anni 92-99.
E il finanziamento dei partiti è ancora un problema da risolvere.
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