Editoriale
Medici morti di coronavirus lo scandalo dei ristori negati
Si chiamava Samar Sinjab ed è uno dei 369 medici uccisi dal Covid in Italia. Coloro che l’hanno conosciuta la ricordano come una donna straordinaria. Una, per dirla con le parole dei colleghi, che ha cercato fino all’ultimo di “fermare il vento con le mani”. In senso non solo letterario, dato che questa 62enne di origini siriane laureatasi in medicina a Padova ha continuato per mesi e mesi durante la prima terribile ondata della pandemia a visitare a casa i propri pazienti anche senza i dispositivi di protezione personale che il Paese dove aveva scelto di vivere e di lavorare non era in grado, all’epoca, di fornirle. Finché, il 9 aprile 2020, Samar non è caduta sul campo. Esattamente come i nostri medici e barellieri della Prima e della Seconda guerra mondiale falciati dalle granate e dal fuoco delle mitragliatrici mentre tentavano di portare soccorso ai feriti e ai moribondi rimasti abbandonati a se stessi nella terra di nessuno. Nessuno degli abitanti della Riviera del Brenta che l’avevano scelta come medico di famiglia potrà mai dimenticarsi di Samar. Ci sono riusciti i nostri parlamentari che, nei giorni scorsi al Senato, hanno negato un ristoro economico ai congiunti dei quasi 400 fra medici di famiglia, dentisti e altri operatori sanitari deceduti a causa del Covid.
Per la cronaca, si parla di 100mila euro «una tantum» già riconosciuti alle famiglie dei camici bianchi dipendenti del sistema sanitario nazionale. Da notare che il subemendamento bocciato godeva pure dell’approvazione del governo, che dunque aveva già garantito la copertura dei fondi necessari. E sempre per la cronaca - che più nera di così non si potrebbe - il voto che l’ha affossato è stato un voto trasversale e bipartisan.
Già si era capito, in occasione della penosa sceneggiata per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, quale fosse la principale preoccupazione della stragrande maggioranza dei nostri, si fa per dire, “eletti”: garantirsi, male che vada, un altro anno di laute prebende sommate - per coloro che non ne avevano ancora maturato i requisiti - a una pensione che un impiegato, un operaio o una partita Iva non potrebbero mai arrivare a prendere neppure lavorando per tre vite di fila. Ma qui è stato infranto ogni precedente record in fatto di cinismo e di falsa coscienza. Quest’ultima rivelata dalla incredibile argomentazione addotta per giustificare l’ignobile figuraccia e, cioè, il rispetto dell’art. 81 della Costituzione che prevede l’equilibrio tra entrate e spese nei conti dello Stato. Niente male per un Paese dove ogni anno si sprecano 200 miliardi di denaro pubblico e dove improvvisamente i sindaci (in taluni casi addirittura in anticipo sulla scadenza prefissata) si sono più che raddoppiati lo stipendio. Ma, anche a non volere infierire su determinati aspetti, quei 369 medici morti di Covid non sono forse morti sul lavoro? Personalmente, ho ancora nelle orecchie questo passaggio del discorso al Parlamento di Sergio Mattarella in occasione dell’inizio del suo secondo mandato come capo dello Stato: “Le morti sul lavoro feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita”. E giù l’applauso, forse il più scrosciante dei 55 tributati in quella occasione, da parte dell’intero emiciclo in visibilio.
Come la politica, da destra a sinistra, abbia potuto finire così in basso è qualcosa di pressoché impossibile da comprendere e meno ancora giustificare, se non con la conferma del vuoto totale di contenuti e di leadership in cui ormai versano i partiti in Italia. Ma non è che neppure il carrozzone delle star sempre pronte a stracciarsi le vesti per “gli angeli del Covid” ci abbia fatto e ci faccia una gran bella figura. Eppure, appena pochi giorni fa erano tutte là sul palcoscenico del festival di Sanremo - pomposamente ribattezzato come il festival della “liberazione” dalla pandemia - a incensare i medici e gli infermieri che da due anni lottano non solo contro il virus, ma pure contro i “no vax” che li ricoprono di ogni sorta di contumelie e di minacce. Mentre adesso, silenzio assoluto. Vero Amadeus? Vero Zalone, Saviano e Jovanotti?
Se in questo Paese la famosa “società civile” esistesse ancora, bisognerebbe scendere subito tutti in piazza a protestare. Almeno fino a quando il Parlamento non avrà posto rimedio al misfatto. Ma gli unici a farsi sentire finora sono stati l’Ordine e alcune associazioni di medici. Per il resto - studenti sempre pronti a scioperare compresi - niente, quando se un gatto viene investito in tangenziale gli appelli e le raccolte di firme si sprecano. Non così per Samar e per gli altri come lei: tutti medici che, spesso, erano già in pensione e che sono tornati spontaneamente ad “arruolarsi” nelle trincee grondanti dolore e disperazione del Covid anteponendo il bene pubblico a quello delle proprie stesse famiglie di cui a volte erano anche la principale, se non l’unica, fonte di reddito.
Prima di essere intubata, la dottoressa Samar ha inviato a uno dei pazienti che assisteva a domicilio un messaggio con le indicazioni della terapia da seguire. Ora il suo posto è stato preso da uno dei due figli, anch’egli medico, che ha dichiarato di volere portare avanti comunque l’eredità della madre anche se - ha aggiunto - “evidentemente non ci considerano più né angeli, né eroi”.
Un atto d’accusa tremendo, che dovrebbe spingere molti a nascondersi per la vergogna. Solo che, per vergognarsi, bisogna avere anche una coscienza. Da qui un estremo appello: Presidente Mattarella, a questo punto solo lei può fare in modo che questa ferita non rimanga impressa per sempre nel corpo già sufficientemente provato e scosso della Repubblica.