Editoriale
Le fake news nella tragedia della guerra
Nessuno è in grado di prevedere la durata e gli esiti del conflitto russo-ucraino. L’evoluzione repentina del quadro bellico rende alquanto azzardate previsioni di qualsiasi tipo. Tuttavia, le ultime tappe dell’escalation di minacce e attacchi consentono di mettere a fuoco alcune caratteristiche del tutto inedite della guerra in corso. Accanto ai mezzi militari e con lo spettro del ricorso alle devastanti armi nucleari, si affermano le strategie di manipolazione informativa e i cyber attacchi.
Rispetto alle sanguinose guerre mondiali e ad altri conflitti del più recente passato, si evidenzia un ruolo cruciale dei giganti della Rete e di organizzazioni trasversali di hacker, che si atteggiano, al pari degli Stati nazionali, ad attori di primo piano nello scacchiere bellico. Le fake news da un lato e i virus informatici dall’altro equivalgono a missili ugualmente letali per le forze in campo e per la comunità internazionale, che con diversi accenti sta reagendo agli attacchi russi in Ucraina. Se le notizie false e tendenziose finiscono per drogare le valutazioni e le interpretazioni della realtà, le incursioni nei sistemi informatici di interi Paesi rischiano di provocare la paralisi del funzionamento delle economie, incidendo sull’erogazione di beni e servizi fondamentali, ad esempio l’elettricità e le telecomunicazioni.
Una guerra combattuta anche con le aggressioni digitali e la contaminazione sistematica dei circuiti informativi sfugge a qualsiasi controllo e consegna le chiavi dei nuovi equilibri geopolitici mondiali a soggetti che si muovono nel torbido della criminalità tecnologica e del cyber terrorismo. La frenetica attività delle varie strutture di intelligence per disinnescare azioni cibernetiche di portata devastante e per proteggere i principali asset informatici è destinata a intensificarsi. Nel cyberspazio si gioca un conflitto nel conflitto, ed è per questo che applicare all’attuale scontro Russia-Ucraina i criteri di valutazione di precedenti scenari bellici potrebbe rivelarsi fuorviante, oltre che riduttivo. Le forze in campo sono molteplici e il quadro si rimodula costantemente sulla base dell’utilizzo di armi non gestibili con approcci tradizionali.
Quanto, invece, alla leva della disinformazione, stiamo assistendo alla riproduzione evoluta di schemi ben noti di irreggimentazione dei canali informativi da parte del potere statuale e a una contesa atipica, non solo tra Stati, ma anche tra Stati e piattaforme web e social.
Negli Stati autoritari chi governa cerca di piegare al suo volere tutti i mezzi d’informazione e di trasformarli in megafoni del pensiero unico del regime. L’informazione diventa così instrumentum regni, strumento di manipolazione dell’opinione pubblica e di consolidamento del consenso. Le opinioni contrarie al potere costituito vengono messe al bando e chi le diffonde viene perseguito dalle pubbliche autorità.
Ha questo sapore la legge approvata all’unanimità dalla Duma, la camera bassa del Parlamento russo, che sanziona con multe e condanne fino a 15 anni di carcere chi diffonde fake news sull’esercito, notizie che criticano le forze armate o opinioni che approvano e incoraggiano le sanzioni straniere contro Mosca. Ma non c’è solo il giro di vite sui media, che ovviamente stanno rapidamente fuggendo dal territorio russo (Rai e Bbc comprese) per sottrarsi a questa concreta minaccia per la libertà personale di giornalisti e operatori dell’informazione. Anche le altre libertà risultano fortemente compresse. Rischia infatti fino a 5 anni di carcere chi invita a manifestare contro la Russia. Inoltre, nelle scuole russe è stata diffusa a tappeto una videolezione sulla “Guerra di liberazione dell’Ucraina” e sulle ragioni che la giustificano, riconducendola al “virtuoso” perseguimento dell’interesse nazionale.
Sul fronte dei social network, il presidente russo Vladimir Putin, nel tentativo di chiudere i rubinetti delle informazioni sull’invasione dell’Ucraina (ma in base alle nuove leggi russe è vietato parlare di invasione), ha ordinato un illiberale inasprimento delle regole. L'autorità russa che regola le comunicazioni, Roskomnadzor, ha infatti deciso di bloccare l’accesso a Facebook e Twitter, accusandoli di discriminare i media russi. L’intento delle autorità di Mosca è fin troppo palese: stroncare sul nascere ogni voce di dissenso e controllare la narrativa mediatica sul conflitto, impedendo ai propri cittadini di ricevere informazioni alternative a quelle filo-putiniane. Anche la infowar sta conoscendo una vera e propria escalation, se è vero che i vertici delle piattaforme social si stanno mobilitando sul piano internazionale per condannare fermamente gli attacchi russi all’Ucraina e per fornire servizi informativi alternativi a quelli della propaganda russa.
La Rete, quindi, anche in occasione del conflitto russo-ucraino, sta giocando un ruolo decisivo e il pericolo di un suo inquinamento dovuto al proliferare di fake news cresce di ora in ora. I guerrieri dei social e i leoni da tastiera imperversano e la tossicità dei flussi informativi nel web sull’andamento delle operazioni belliche è uno dei fattori di maggiore destabilizzazione del clima internazionale.
L’informazione di ogni singolo Stato non coinvolto direttamente nel conflitto, quindi anche quella italiana, è chiamata a un supplemento di approfondimento e di verifica delle fonti a disposizione, evitando di assecondare la polarizzazione in atto e di enfatizzare un lessico apocalittico, soprattutto con riferimento alla minaccia nucleare, che pure rimane sullo sfondo.
Un conto è la sacrosanta condanna della guerra, senza se e senza ma, altra cosa è lasciare campo libero all’emotività e agli approcci fideistici. Il giornalista non è il depositario della verità ma lo scopritore e il narratore della realtà dei fatti, che osserva e interpreta con gli strumenti professionali, applicando i principi deontologici. Toni accesi da tifoseria scomposta, liste di proscrizione, ricerca ossessiva di capri espiatori non aiutano a ritrovare quell’equilibrio che sarebbe necessario per rendere l’informazione un nobile strumento di pacificazione, anziché l’ennesima mitragliatrice che mina le fondamenta dell’ordine mondiale.