EDITORIALE

Macron, una vittoria che non suscita entusiasmo

Paolo Ferrandi

Sarà che i primi della classe non sono mai simpatici e nemmeno gli «enfant prodige», ma la vittoria alle presidenziali francesi di Emmanuel Macron – che avrà 49 anni quando finirà nel 2027 il suo secondo mandato – non ha provocato eccessivi entusiasmi se non per lo scampato pericolo di una presidente francese di estrema destra, antieuropea e filorussa. Uno scarso entusiasmo che si vede nei commenti in Italia e, in parte, anche in Francia.
Eppure, se analizziamo i numeri, come faremo, il successo di Macron è un risultato politico notevole. Anche se, come vedremo in seguito, gli elementi di fragilità sono ben presenti e anche di questi bisogna tener conto.


Partiamo dai numeri. Macron ha vinto con quasi 19 punti di distacco rispetto a Marine Le Pen: 58,56% contro 41,46%. In termini numerici si tratta di un divario di quasi cinque milioni e mezzo di voti. Insomma, non è stata una vittoria risicata. Tutt’altro. Anche se, bisogna riconoscerlo, questa volta il presidente non è arrivato alla quota stratosferica del 2017, quando portò a casa il 66,1% dei consensi. In cinque anni una perdita di quasi otto punti percentuali. Ma questo calo di consensi, letto senza nessun tipo di cautela, è abbastanza forviante.

P rima di Macron, infatti, l’ultimo presidente eletto con un doppio mandato era stato Jacques Chirac. E prima di lui François Mitterrand. E ci fermiamo qui: perché né Nicolas Sarkozy né François Hollande – i due presidenti che anno preceduto Macron all’Eliseo – sono riusciti a vincere un secondo mandato. Anzi, Hollande nemmeno ci ha provato. In più Macron è riuscito a restare all’Eliseo durante un ciclo politico nel quale il suo partito controllava anche il Parlamento, mentre sia Mitterrand che Chirac hanno avuto la vita più facile, visto che hanno fatto campagna elettorale quasi all’opposizione contro un primo ministro espressione di un partito diverso dal loro. Un utile capro espiatorio per fare finta di non essere stati all’Eliseo. Quindi possiamo dire che la vittoria di Macron, dal punto di vista politico, è un unicum nella storia della quinta repubblica. Insomma, conta di più la rielezione, vero e proprio capolavoro di strategia, del fatto che è stata ottenuta con un punteggio in discesa rispetto a cinque anni fa.

Per Marine Le Pen, invece, i numeri appaiono lusinghieri anche nella sconfitta, visto che ha raggiunto una percentuale di consensi mai toccata prima, ma dal punto di vista politico le cose sono un po’ diverse. Come ha, infatti, fatto notare in modo puntuto Eric Zemmour, il polemista che si è inventato candidato ed è, se possibile, più a destra della Le Pen, è l’ottava volta che alle presidenziali il nome Le Pen viene sconfitto: cinque batoste le prese il padre di Marine, Jean-Marie, il fondatore del Front National (ora Rassemblement National, visto che «Front» fa troppo ultradestra) e tre le ha prese la figlia. Insomma, è arrivata l’ora, probabilmente, di «delepennizzare» l’estrema destra francese, dopo averla «sdiavolizzata». Ma non si sa ancora come, anche se Marine ha fatto crescere il giovane Jordan Bardella, che è già presidente ad interim del partito, nella speranza di farne il suo delfino.

Veniamo ai numeri dell’astensione che – con il 28% – sono alti, ma non sono da record, visto che resiste il primato del 1969. Il fatto è che i soli astenuti sono il secondo partito di Francia in termini numerici, superando i consensi della Le Pen. E se a questi si aggiungono le schede bianche e nulle, questa volta in diminuzione rispetto al 2027, ci avviciniamo – sempre in termini numerici – a quanti hanno votato per Macron. Un segnale d’allarme evidente, anche tenendo conto del fatto che è nella logica del ballottaggio che chi non si sente rappresentato non si rechi alle urne. Per questo in questa campagna elettorale si è discusso tanto di riforme istituzionali: sia in direzione di un uso più esteso dei referendum, sia per l’idea di rendere le varie leggi elettorali francesi un po’ più proporzionali.

Veniamo ora i veri segnali di fragilità del secondo mandato di Macron. Il più evidente è quello che si concretizzerà alle elezioni politiche di giugno, visto che con un Paese spaccato in modo tripolare (un centro macroniano, una sinistra melenchoniana e una destra lepenista), con livelli di consenso abbastanza simili, sarà difficile avere una maggioranza stabile. Anche, qui, però, bisogna sfatare alcuni miti che sono radicati in Italia e che non tengono conto delle caratteristiche del sistema elettorale francese. Le legislative, sono, di fatto, 577 mini-presidenziali: il territorio è diviso in altrettanti collegi uninominali che eleggono il proprio deputato in un sistema maggioritario a doppio turno, e che in genere consegna una maggioranza solida al partito del presidente appena eletto. Questa volta non succederà. Ma non è detto – anzi è piuttosto improbabile – che Mélenchon e la Le Pen ottengano la valanga di eletti che sperano di avere. Per dire nell’attuale parlamento i deputati del Rassemblement sono solo otto. E Marine era comunque arrivata al ballottaggio anche nel 2017. Tra l’altro le elezioni legislative sono così legate al territorio che anche i partiti tradizionali, cioè i socialisti e i gollisti che hanno ancora strutture sul campo, possono avere parecchie chance di risalire la china. Già da ora Macron cercherà comunque di cannibalizzare consensi dove può trovarli: sul lato a sinistra tra quel che resta dei socialisti e degli ecologisti. Sul lato destro su quel che resta dei gollisti che temono la destra estrema. Un mix piuttosto complicato da gestire.

Però è evidente che per Macron il secondo mandato sarà più complicato, visto che con tutta probabilità si troverà a governare con un parlamento non allineato, anche se forse non così ostile come ci si aspetta. Ma soprattutto dovrà trovare il modo di assicurarsi che il movimento che ha creato gli sopravviva. Perché non potrà ripresentarsi alle presidenziali e quindi dovrà cominciare a pensare alla sua eredità politica. Insomma, deve trovare un delfino. O una delfina. E per un accentratore che preferisce giocare da solo, non sarà semplice