Editoriale
Le conseguenze della guerra
La guerra è semplice, ma le sue conseguenze sono straordinariamente complesse. Non solo sul piano militare. Dove a cascata si è passati dall’operazione militare speciale, all’inattesa reazione ucraina, al sostegno militare dei paesi Nato, alle minacce di Putin di una risposta nucleare qualora il supporto occidentale sfociasse in un attacco alla Russia stessa. Ma la guerra sta avendo conseguenze economiche significative sugli assetti economici internazionali, di quello che sarà il «dopo-guerra». L’impatto più importante riguarda l’Europa, dopo la rinuncia all’utilizzo del gas russo. Sarà un processo non breve e non semplice, che richiederà alcuni anni. Nel frattempo, vi è grande incertezza: avremo una recessione? In che misura questa influirà sulla produzione e sull’occupazione?
Un secondo effetto è l’inflazione, in tutto il mondo, mai così elevata dalla fine degli anni ’70. In effetti l’inflazione era già partita prima della guerra, alla ripresa dell’economia mondiale, con le strozzature sul lato dell’offerta (a partire dalla scarsità di componenti elettroniche); e dal lato della domanda, più impetuosa del previsto (anzitutto da parte della Cina), con il rimbalzo dei prezzi delle materie prime, a partire dall’energia e delle materie prime elementari. La guerra ha aggravato i problemi inflazionisti preesistenti.
L’inflazione sta avendo effetti a cascata, che ridurranno la crescita del Pil. Si ridurrà il reddito disponibile delle famiglie (l’Istat ci dice che gli stipendi hanno perso il 5% come capacità di acquisto) e di conseguenza si ridurranno i consumi, la componente fondamentale (all’80%) del Pil.
La crisi nelle forniture energetiche e l’inflazione sollevano un grande dilemma per la Banca Centrale Europea, quale politica monetaria? Il rischio di recessione induce la massima prudenza nel rialzo dei tassi d’interesse ed altrettanta nella riduzione degli acquisti dei titoli emessi dai singoli governi. Per contro, il rischio inflazione induce ad un rialzo dei tassi. Il pericolo “stag-flazione” (recessione+inflazione) in stile anni ’70 appare davvero alle porte, con il pericolo di effetti circolari nell’intreccio tra errori di politica economica e shock dell’offerta.
La guerra sta anche modificando la struttura delle relazioni internazionali, sia a livello di contesto globale (il mondo si è diviso in due), che di effetti trasversali. Le prospettive di crescita per il 2022 sono tutte in discesa (con crollo al meno 10% in Russia). Il debito globale come quota del Pil è aumentato al 250%, livello mai raggiunto nel dopoguerra (negli anni ’70 il debito era al 120%).
Di particolare gravità potrebbero essere gli effetti sui paesi emergenti, che hanno bisogno di crescere “molto” per mantenere i propri livelli di benessere minimo. Nel triennio 20-22, rispetto al 2019, le prospettive di crescita si sono dimezzate, con gravissimi problemi per assicurare le forniture alimentari. Per attenuare le tensioni sul debito dei paesi emergenti è indispensabile un’azione di coordinamento del Club di Parigi (che riunisce i paesi occidentali) con la Cina, ormai il maggior creditore internazionale.
Anche le monete forti si stanno riallineando. Rispetto al dollaro che si rafforza (perché nei momenti di grande incertezza è una moneta-rifugio, e perché è sostenuto da un previsto rialzo dei tassi d’interesse), con le altre valute stanno perdendo terreno. L’euro sta scendendo in misura moderata, ma lo yen giapponese ed il renmimbi cinesi scendono in misura ben maggiore. Il Giappone è ricaduto nella sua stagnazione decennale, la Cina invece è intrappolata nel lockdown anti-Covid.
La svalutazione del renmimbi in questo mese è stata la più elevata dal 2005 (fine del dollar peg dal 1994 al 2005), maggiore che durante la guerra dei dazi di Trump. Inoltre, Xi Jinping ha annunciato un aumento delle spese in infrastrutture per mantenere l’obiettivo di una crescita del 5,5%.
Per la Cina, comunque, il segnale peggiore è la vendita di assets finanziari cinesi da parte degli investitori internazionali. Questa fuoriuscita di capitali, la prima di queste dimensioni degli ultimi 12 anni, azzera le entrate dell’avanzo commerciale, rompendo l’equilibrio di stabilità del tasso di cambio.
Anche la Cina finisce per pagare il prezzo di questa guerra assurda; la sua politica di solidarietà con la Russia (pur senza intervenire) le sta costando più cara del previsto. Un suo passo per riportare la pace sarebbe decisivo, anzitutto per sé stessa.