EDITORIALE
Ucraina la pace non può arrivare a ogni costo
Ormai la guerra provocata dall’invasione delle truppe russe in Ucraina si trascina da più di 100 giorni e la situazione sul campo rimane confusa mentre, purtroppo, non si vedono spiragli per una soluzione diplomatica del conflitto.
In situazioni come queste viene naturale diminuire l’attenzione rispetto alle notizie che arrivano dal fronte della guerra, visto che la routine di informazioni simili ogni giorno tende a generare una certa assuefazione rispetto al tema che, però, rimane altamente drammatico, se non altro per il numero delle vittime che vengono divorate da un conflitto che appare sempre più violento e quasi impossibile da fermare.
Anche per questo può essere utile cercare di capire la situazione sul campo, che non è del tutto chiara, anche perché durante un conflitto le parti in lotta si combattono con la propaganda e non solo con le armi.
Così le sconfitte vengono minimizzate e le vittorie amplificate, mentre le accuse di atrocità rimbalzano tra le due parti in lotta, molte volte non suffragate da prove e spesso difficili da verificare proprio per il fatto che la guerra rende difficile il lavoro dei giornalisti.
Detto questo si può affermare che le forze armate russe, dopo il disastro, da punto di vista militare, del tentativo di invasione del Nord dell’Ucraina e della capitale Kiev abbiano deciso di ridurre la portata dell’offensiva e concentrato la loro azione nella zona del Donbass (gli oblast di Lugansk e Donetsk). Un’offensiva, tra l’altro, che non è più affidata ai tank e alla fanteria meccanizzata, come nella prima parte del conflitto, ma all’uso indiscriminato dell’artiglieria, chiamata a fare «terra bruciata» prima della cauta avanzata delle truppe. Una tattica, che utilizza anche l’aviazione per i bombardamenti con bombe a caduta libera, che permette dei guadagni incrementali e non spettacolari ma che con la sua tremenda pressione, dovuta all’impressionante volume di fuoco, indebolisce le difese avversarie anche dal punto di vista psicologico e riduce le perdite dell’attaccante.
Questo di tipo di guerra avvantaggia che ha l’esercito più numeroso e una maggior potenza di fuoco, cioè, almeno per ora, le truppe russe. Gli ucraini, benché molto motivati, sono meno e, se le armi occidentali che sono state promesse non arrivano in fretta, hanno una minore potenza di fuoco. E quindi sono destinati a perdere terreno. Le cose potrebbero cambiare se l’esercito ucraino disponesse delle armi che sono state promesse. Ma anche in questo caso resta il fatto che missili e cannoni, quando sono tecnologicamente avanzati, hanno bisogno di addestramento per essere usati e, soprattutto, devono arrivare al fronte assieme alle munizioni che, tra l’altro hanno un calibro diverso da quelle usate finora dalle truppe di Kiev e devono arrivare dall’estero. E anche questo è un problema quando le vie d’accesso non sono particolarmente sicure.
Sugli altri fronti per ora la situazione sembra più stabile, anche se, nella zona di Kherson è in atto un tentativo degli ucraini di riconquistare posizioni, anche approfittando dello sforzo bellico dei russi nel Donbass che lascia scoperte le posizioni nel sud. In ogni caso resta il fatto che ora come ora, mentre al nord e all’ovest l’Ucraina è ancora integra territorialmente, nel sudest, cioè nel Donbass, e nella costa del sud del Paese i russi hanno occupato una parte non piccola del territorio e sarà difficile riuscire a farli sloggiare dai lì, almeno seguendo una logica puramente militare.
E qui arriviamo al vero problema. Perché tutti sappiamo che difficilmente sarà una soluzione militare a porre fine alla guerra, ma, d’altro canto, le due parti in causa (e la diplomazia internazionale) per ora non riescono a trovare una via d’uscita negoziale. Tutti aspettano un migliore posizionamento sul terreno per iniziare i colloqui di pace da posizioni di forza. E non possiamo nemmeno dire che si tratta di una scelta irrazionale. Per l’Ucraina, per esempio, una posizione di forza vuol dire azzerare o diminuire al minimo le parti del territorio da cedere all’invasore russo. D’altra parte, però, abbiamo visto, che sul terreno le cose sono più complicate e, anzi, almeno in questi giorni, i russi riescono ad ottenere qualche risultato, anche se non così rilevante e gravato da perdite pesanti.
Se nelle prossime settimane l’afflusso delle armi occidentali non cambierà, come tutti sperano, la situazione sul campo, allora il problema si porrà in tutta la sua drammaticità. Perché le pressioni per raggiungere l’obiettivo minimo di una tregua sul terreno diverranno sempre più intense.
E questo vorrà dire cominciare a discutere di pace con una parte del territorio ucraino sotto il giogo russo. Una situazione francamente non accettabile né per il governo di Kiev, né per l’Occidente. Ma è un’opzione di cui bisogna tener conto per arrivare preparati a un esito possibile anche se non auspicabile. A meno di non decidere di aumentare ancora una volta il livello di aiuti, in armi e logistica, al governo ucraino. Ma anche questa è una scelta non semplice per l’Occidente che probabilmente sperava che bastassero le sanzioni per bloccare l’espansionismo russo.