Editoriale

Il paese del grande spreco

Pino Agnetti

Che triste paradosso. Stiamo affrontando una emergenza idrica senza precedenti, eppure facciamo acqua da tutte le parti! Non è una battuta da bar. Lo ha detto e certificato l’Istat nel suo ultimo rapporto annuale che, alla voce “acqua”, ci presenta un conto fra i più salati e desolanti. Pensate: di tutto l’oro blu immesso ogni anno nelle tubature dei capoluoghi di provincia italiani, oltre un terzo (il 36,2%, cioè 0,9 miliardi di metri cubi) non viene consumato. Per la semplice ma drammatica ragione che non arriva mai ai nostri rubinetti, disperso in precedenza fra le mille falle di una rete in molti casi vetusta (a Venezia, tanto per dare l’idea, è ancora in funzione l’acquedotto inaugurato nel 1884) e che andrebbe rimappata da cima a fondo per individuarne le criticità e predisporre gli opportuni interventi di ammodernamento divenuti più che mai indispensabili.

Soprattutto al centro-sud dove in regioni come il Lazio e la Calabria la dispersione idrica raggiunge e supera punte addirittura del 70% (al centro-nord viaggiamo mediamente sotto il 30%). A riprova che il tema delle “due Italie” è più che mai di moda anche per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione del servizio di distribuzione di un bene primario come l’acqua potabile. E qui valga il confronto fra l’Emilia-Romagna, dove il servizio è in carico a 8 gestori, e la Sicilia che ne schiera ben 53!

Detto ciò, se non vogliamo finire anche noi con le autobotti e a fare la spola con le taniche come è ormai la prassi a Enna, Cosenza o Reggio Calabria, non è che il tempo a nostra disposizione sia infinito. Questo vale anche per Parma e per la sua provincia, come confermato dalla inchiesta di Giuseppe Milano pubblicata alle pagine 8 e 9 e di cui richiamerò un solo dato: quei 36 milioni di metri cubi d’acqua captati complessivamente dalla falda nel 2021, ma fatturati (fonte ufficiale: Atersir) solo per i due terzi! Il che significa qualcosa come 12 milioni di metri cubi d’acqua mai arrivati alla loro destinazione finale nell’arco di appena un anno.

Proprio per cercare di tamponare situazioni come questa, in realtà da noi ancora gestibili ma altrove come si è visto già ben oltre i livelli di guardia, nel Pnrr sono previsti 4,38 miliardi destinati all’ammodernamento del patrimonio infrastrutturale idrico. Di questi, 900 milioni andranno spesi per ridurre le perdite nella distribuzione dell’acqua potabile, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti. La notizia buona, dunque, è che con il governo Draghi (e con i soldi dell’Europa) ci siamo messi finalmente a lavorare anche su questo versante che definire strategico è poco. Quella cattiva è che il riscaldamento globale sta correndo molto più veloce di noi e che la situazione in Italia non fa certo eccezione. Per almeno altri dieci-quindici giorni, infatti, di pioggia non se ne parla proprio (ma ci sono esperti per i quali non ne vedremo più fino a settembre). La grande ritirata dei fiumi con in testa il Po mai così basso da 65 anni a questa parte procede apparentemente inarrestabile. Il lago Maggiore è già sotto del 70%, quello di Como del 50%. Parafrasando Trump, che a proposito dell’innalzamento degli oceani ha sentenziato giulivo che «avremo più case con vista mare», si potrebbe anche commentare che con tutti quei letti fluviali e lacustri miseramente in secca «avremo più spiagge su cui abbronzarci» e magari qualche nuova location per i futuri “Jova beach party”. Ma non credo che i coltivatori e gli allevatori della Pianura Padana abbiano granché voglia di scherzare e di pensare a come svagarsi, con i raccolti in buon parte se non del tutto già compromessi e il foraggio per gli animali incenerito dal sole e dalle temperature africane come il grano ucraino bruciato intenzionalmente dai razzi russi. A ricordarci che anche il riscaldamento globale è una guerra, tanto più se in circolazione ci sono “attori” totalmente privi di scrupoli che se ne servono per ricattarci e indebolirci ulteriormente.

Come in tutte le guerre, però, c’è un solo modo per non uscirne sconfitti e travolti: combattere, come diceva Winston Churcill, ma facendolo sul serio e su tutti i fronti. Sollecitare i cittadini a un utilizzo responsabile delle risorse idriche è senz’altro giusto, ma non basta se poi “a monte” persistono delle carenze strutturali come quelle di cui si è parlato fin qui. Servono soluzioni nuove, coraggiose e a tutto campo. Dalla realizzazione di nuovi invasi al reimpiego degli utili dei gestori nella ristrutturazione delle reti idriche, senza di che anche i benefici derivanti dal precedente tipo di interventi rischierebbero di essere in buona parte vanificati. Quanto all’agricoltura, ormai è chiaro che anche i metodi di irrigazione tradizionali vanno rivisti e che il modello a cui guardare si trova in Paesi come Israele, capace di trasformare il deserto in una vallata fertile e rigogliosa. Un miracolo fatto di tecnologia e di rigide pratiche anti spreco condivise da tutti, governanti e governati insieme. A ben vedere, l’unica valida alternativa rimastaci alle processioni e alle danze della pioggia lungo il Po di questa che è solo una delle tante estati sempre più assetate e torride che ci aspettano.